Se domani, per futili motivi scoppiasse la rivoluzione? Non sarebbe forse una comica? Per difendere quali valori? Con quale credibilità? Quali sarebbero i mezzi e gli argomenti?
E se fosse poi seguita e spalleggiata da tv, social e web, siamo sicuri che la si farebbe per strada e non, magari, in modo molto più comodo da casa, seguendo passo dopo passo le sue fasi senza scomodarsi, ma anzi dando il proprio (profondo?) contributo tramite televoto, attraverso un sondaggio, sostenendo un hashtag?
E se poi le nazioni di tutto il mondo, cavalcando il virtuale moto rivoluzionario, trovassero il modo di farsi una bella guerra vera, ecco che tutto sarebbe caos, diventerebbe un grosso inutile spreco di risorse umane, per il piacere di pochi, per la storia che si deve ripetere ma con ingredienti potenzialmente micidiali.
Tutto andrebbe avanti senza fermarsi: le dirette televisive, i reality dal fronte, dove si può scegliere chi deve essere eliminato. In questo ultimo atto per l’umanità, si percepiscono appena storie diverse, di gente comune, posta sui diversi scalini della scala sociale, storie di padri diversi e di figlie diverse… Il messaggio finale è sempre e comunque la resistenza: ultimo baluardo incontaminato del genere umano.
Scritto da MARCO GIAVATTO
Diretto da IACOPO BIAGIONI
Con MICHELE CIMMINO, FULVIO FERRATI, SIMONE FISTI, RICCARDO GIANNINI, MARCO GIAVATTO, CLAUDIA FOSSI, SAMUEL OSMAN, SERENA POLITI, MICHELA STELLABOTTE, ANTONIO TIMPANO, LEONARDO VENTURI, IRENE BECHI, ARTURO CHIARI, TOMMASO DAFFRA, ROBERTO FONTANELLI, NORA POLI, SOFIA SALOMONI
Scenografia FRANCESCA LEONI
Musiche MANUELE MARCHI
Recenesione: Corriere Spettacolo
“La guerra degli altri”, il distacco, il timore, la superficialità
Marco Giavatto e Iacopo Biagioni al Cestello: raccontare il rapporto tra uomo contemporaneo e rivoluzione.
Mercoledì 18 e giovedì 19 ottobre, al Teatro di Cestello di Firenze, con la drammaturgia di Marco Giavatto e la regia di Iacopo Biagioni, va in scena “La guerra degli altri – appunti di una rivoluzione”, un titolo da cui aspettarsi molto, una performance dai molti spunti che mette in luce problemi quotidiani e teatrali.
Una storia fra distopia e realtà, una vicenda di cui tutti noi potremmo essere protagonisti. Tutto nasce da una domanda: cosa succederebbe se ci svegliassimo e ci accorgessimo di essere in guerra? La risposta è disastrosa; tra indifferenza, ignoranza e superficialità, la tragedia più grande non è rimanere senza niente ma perdere una figlia che si allontana per fare la rivoluzione, lasciando nella disperazione un padre che si sveglia dal proprio torpore quotidiano per trovarla, a qualsiasi costo. La guerra è combattere, uccidere, dimenticarsi dell’etica, non per l’onore della propria patria o della fazione cui si appartiene ma per ripristinare il nostro quotidiano, riprenderci le cose di cui siamo schiavi, ritrovare l’amore, gli affetti domestici, i nostri cari che a volte pensiamo di non sopportare ma senza i quali la nostra vita sarebbe vuota e priva di senso.
Il testo di Giavatto è ricco di riflessioni su temi attuali ma affrontati talmente spesso da sembrare superati, ormai sterili luoghi comuni che vivono solo delle critiche di chi ancora guarda la realtà contemporanea con disprezzo, affermando: «ai miei tempi…». Al drammaturgo piace vincere facile con questioni già attaccate da tutti: la sfiducia verso le istituzioni comunali e statali, verso la politica, verso i social, verso modi di dire che appartengono all’italiano medio-basso, che non ha la forza o la capacità di costruirsi un presente e un futuro migliore.
Tuttavia anche Giavatto si mostra critico nei confronti dell’espressione «ai miei tempi…»: ai «loro tempi» c’erano davvero la guerra e la fame, c’era lo stupore davanti ai puntuali treni fascisti e ai discorsi pubblici del duce, così come oggi i giovani (e non solo) sembrano rapiti davanti ai social network. E il benessere del «loro» dopoguerra, breve e illusorio, non è migliore del benessere di oggi, materiale e ancora illusorio, che illanguidisce il solito uomo medio.
La regia di Iacopo Biagioni si basa soprattutto sulla comicità e riesce a divertire, soprattutto grazie alla caratterizzazione di alcuni personaggi come il presentatore televisivo e di alcuni sketch comici come quello familiare dei litigi tra moglie e marito, quello televisivo della giornalista sensuale o del reality stile “Grande Fratello” o “Isola dei famosi”, visto con un occhio disincantato e svelatore. Cadere nel banale sembra uno stratagemma per provocare la risata.
La messinscena appare talvolta discontinua, mancando forse di un vero protagonista; la conseguenza è quella di non avere chiara la morale della storia: è una critica alla società moderna? Alla guerra? All’ipocrisia e alla falsità? Alla realtà così cruda? Forse si vuole evidenziare la mancanza di senso della violenza e dell’inettitudine di fronte a un bacio di una figlia al padre che dorme. Il valore del nostro presente vive in questi piccoli e dolci gesti che in un attimo spazzano via luoghi comuni, menzogna e comicità.
Benedetta Colasanti