Niente teatro in tempi di pandemia? Niente di meno vero, specialmente se chiediamo a due giovani artisti toscani come Camilla Guarino e Federico Malvaldi, che, proprio nel famigerato anno nero per le arti performative, il 2020, hanno deciso di fondare ufficialmente la loro compagnia e di mettere in cantiere un nuovo spettacolo.
Classe 1992 lei. Danzatrice, ha lavorato con varie realtà del mondo della danza, tra cui il coreografo Virgilio Sieni, per poi conseguire un Master in drammaturgia presso l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Classe 1991 lui. Lavora come drammaturgo, sceneggiatore ed editor, collaborando, tra gli altri, con ERT e Comune di Fermo, dopo aver debuttato lo scorso anno alla Biennale Teatro di Venezia.
Ad ottobre, i due hanno dato vita alla compagnia Fuori Equilibrio Teatro, insieme ai compagni di avventura Giuseppe Comuniello, danzatore, e Francesca Gennuso, che si occupa di formazione e teatro nelle scuole. La loro poetica, come collettivo, si basa su un mix di linguaggi che sanno unire drammaturgia e movimento scenico, donando ai loro progetti forza espressiva ed unicità.
Alla faccia delle paure e delle poche sicurezze sul futuro, sia a breve che a lungo termine, hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo e si sono imbarcati in questa avventura teatrale sicuramente non semplice. Tuttavia, a guardare il lavoro che stanno facendo e ad assistere al loro entusiasmo, viene naturale pensare che i due siano un bellissimo esempio di come, a volte, il successo sia di chi ha la tenacia, la voglia e il coraggio di andarselo a prendere.
Noi li abbiamo intervistati per scoprire cosa hanno combinato negli ultimi mesi e per fare due parole sul loro nuovo progetto Tutorial, uno spettacolo ancora work in progress che si ripromette di dirci di più, attraverso la storia di un uomo e una donna, su morte, malattia e solitudine in una società, come quella contemporanea, “sempre più tecnologica e performante“.
Partiamo dallo spettacolo al quale state lavorando in questo momento. Chi sono Linda ed Ettore, i due protagonisti, e come nasce la storia di Tutorial?
Camilla: Io lavoro molto per immagini, al contrario di come fa Federico, che parte dall’opposto, quasi. Ho semplicemente visto l’immagine di una donna per bene che puntava una pistola verso un uomo intento a leggere un libro ed ho chiesto a Federico di scriverci qualcosa su.
Federico: Sì, Camilla arriva e mi fa “Fede, voglio fare uno spettacolo su una tizia che vuole uccidere uno, ma non ho voglia. Scrivilo tu.” Per cui, chi sono Linda ed Ettore? Sono i due personaggi che sono nati per giustificare la follia di Camilla. È Ettore che spiega all’assassina come farsi uccidere. Lui è malato di Alzheimer giovanile e vede la morte come una possibile soluzione ad una vita di dimenticanza. Linda, invece, è una donna che si trova intrappolata all’interno di un matrimonio sofferente, dalla cui apatia sperava di riuscire ad uscire diventando l’amante di Ettore. Il fatto che lui si dimentichi di andare a prendere Linda nel giorno in cui i due dovrebbero scappare è l’incidente scatenante di quella che fino a sabato scorso era una commedia…
A proposito di questo, nessuno ama particolarmente le etichette, ma se vi chiedessi di definire il genere dello spettacolo come rispondereste?
Federico: All’inizio doveva essere una dark comedy, quindi ricca di ritmo e battute serrate. Poi ci siamo spostati molto sull’immagine e questo, a livello di genere puro, ci sta portando verso la tragedia, nel senso classico, in cui vi è il divino che entra nelle azioni umane.
Camilla: La parte più difficile da realizzare a livello scenico è dare vita al personaggio del Tutorial, Weebo, che giustifica tutto. Inizialmente abbiamo pensato che potesse essere interpretato da un attore vero, ma non ha senso perché non vogliamo dare un volto al ‘divino’, al ‘deus ex machina’…Per ora ci siamo basati sulle proiezioni e siamo in fase di sperimentazione. Siamo in un momento dialogico complesso.
Nonostante il periodo non sia dei migliori per il teatro, tra chiusure forzate e restrizioni varie, siete comunque riusciti, in queste settimane, a fare delle prove grazie ad una residenza al Teatro Nuovo di Pisa. Vedete queste opportunità come ‘privilegi’ concessi a pochi, oppure ci sono chance per chi le sa e vuole cogliere? Non si rischia, a volte, di confondere l’assenza di possibilità con l’essersi arresi alla paura che, finché i teatri restano chiusi, sia inutile programmare sia sul breve che sul lungo periodo?
Camilla: In questo momento l’unica cosa positiva rispetto a prima è la possibilità di avere molto più tempo per provare e, paradossalmente, molto più spazio. I teatri sono vuoti, non hanno stagione, quindi c’è la necessità soprattutto da parte di teatri ‘medi’ (non nazionali) di mantenere vivi e ‘svegli’ i loro spazi. Le residenze vengono quindi accolte da molti teatri, almeno tra Pisa e Firenze. Stanno uscendo molti bandi, ovviamente in continuo cambiamento perché non si sa cosa succederà, ma la disponibilità per quanto riguarda le residenze c’è. Nel caso di un lavoro come il nostro, che necessita di molto tempo di prove in uno spazio teatrale, la situazione è molto produttiva e molto aperta.
Federico: C’è da dire che chi ha idee chiare e sa come muoversi il modo di muoversi lo trova anche se c’è una pandemia. Bisogna tenere conto del contesto in cui ci troviamo e del fatto che non si naviga nell’oro, ma tanto per il teatro è sempre stato così. Tuttavia, se ti presenti con una credibilità professionale, anche individuale oltre che a livello di compagnia, c’è molta disponibilità da parte dei teatri off di ospitarti, darti spazi, inserirti in contesti che potrebbero permetterti di diventare una compagnia permanente con agibilità ecc. I teatri hanno bisogno di professionisti. Spesso ci chiedono: quindi volete fare teatro di mestiere? E la risposta deve essere si.
La vostra compagnia è nata ufficialmente ad ottobre. Pensate che ci siano barriere all’entrata dal punto di vista burocratico per le giovani compagnie?
Camilla: Banalmente, anche solo per capire la situazione ed il contesto burocratico nel quale ci stavamo inserendo, abbiamo dovuto contattare cinque o sei commercialisti ed ognuno ci ha detto cose diverse, facendoci anche commettere alcuni errori. Ci sono leggi o decreti che cambiano continuamente, per cui la situazione che ci viene presentata non è assolutamente chiara. Anzi, inizialmente sei costretto a procedere a tentoni. Le associazioni come le nostre sono quelle più a rischio. In più, molti bandi chiedono cose che non tengono in considerazione le condizioni delle associazioni stesse…Perfino il commercialista ci chiede a volte perché non abbiamo deciso di appoggiarci ad altre realtà? Ė vero, sarebbe più semplice, ma ad un certo punto senti la necessità di avere una tua identità.
Federico: Non c’è proprio un piano di inquadramento di realtà, come la nostra, che vogliono ‘partire’. Questo avviene a livello di commercialista in primis, dato che un commercialista lo paghi come se tu fossi una Srl. Proprio a livello di inquadramento lavorativo, siamo in un limbo che non ci permette né di lavorare né di fare vera e propria cultura…Anche se uno vuole fare no profit, deve comunque sborsare centinaia di euro ed è proprio questo il gap: tra il nulla e una società di produzione costituita come Srl, nel mezzo vi è un grande caos. Comunque sia, questo non deve scoraggiare chi vuole aprire un’associazione. Il rischio c’è, i soldi li devi investire perché sei imprenditore di te stesso al 100% e…ad un certo punto, se non vuoi rischiare, fatti assumere come barista!
Per concludere, oltre che con Tutorial, dove vi vedremo prossimamente?
Camilla: Con Giuseppe Comuniello, stiamo portando avanti un progetto, iniziato un anno fa, dal titolo Let Me Be, per il quale abbiamo ottenuto una residenza al Teatro Cantiere Florida, appoggiandoci a Versiliadanza, grazie alla quale abbiamo potuto sviluppare lo spettacolo, il cui debutto doveva essere a febbraio, per ora spostato a maggio. È un lavoro che si basa sulla descrizione della danza attraverso diversi linguaggi, il corpo e la parola. Lo scorso anno, essendo appena uscita dal Master di Drammaturgia, dove ho conosciuto anche Federico, inizialmente avevo voluto sperimentare molto sulla parola…Dal momento in cui abbiamo iniziato le prove, però, è diventato più fisico, uno spettacolo più puramente di danza. Tolta quasi tutta la parte drammaturgica, è rimasta comunque una descrizione poetica di un’immagine di danza.
Silvia Bedessi