Sto in bagno, in un lido in cui, insieme ai miei amici, abbiamo deciso di trascorrere il sabato pomeriggio. I servizi igienici mi ricordano quelli di un autogrill dove tutti i cessi sono separati da pareti in compensato sottile, sospese, che rendono l’esperienza di andare a pisciare un’attività di gruppo. Ho appena finito di farla ma non riesco a muovermi.
- “Ma hai visto che cazzo di foto ha pubblicato con la felpa gialla? Sembrava un coglione!”
Tanto mi è bastato a rimanere tramortito. La frase l’hanno pronunciata un paio di miei amici che non si sono resi conto che in bagno ci fossi anche io. E pensare che mi sentivo un figo, venivo da settimane in cui avevo pubblicato post su post, uno migliore dell’altro, da centinaia di like. Foto di me che guardo orizzonti non definiti e frasi estratte da libri che non so neanche chi cazzo li ha scritti. Eppure mentre le pubblicavo la mia vita era perfetta, un alternarsi di storie e stati che mi facevano sentire realizzato. Ero riuscito a pubblicare ben 12 post senza iniziare la didascaliacon lo sputtanatissimo “E poi…”, mi sentivo il figlio di Umberto Eco. Che poi non ho mai letto un suo cazzo di libro. Ma ora mi sento un coglione galattico. Per qualche secondo sono lucido e capisco che tutta questa storia di pubblicare ogni cazzo di momento della nostra vita è una grande stronzata. Ma perché devo capirlo ora. Perché? Oggi è il peggior giorno per rinsavire. Stasera devo andare, insieme alla mia ragazza, nel ristorante stellato di Pippo Cannelloni che avevo prenotato mesi fa.
Avevo già pensato ad ogni stracazzo di momento, a come fotografare l’ingresso del ristorante, a come svelare ai miei follower dove mi trovassi, alle portate, a tutto. Ma ora? Ora non voglio pubblicare nulla. Voglio fare un atto di protesta. Devo dimostrare a me stesso che non sono il coglione con la felpa gialla. Mi sento un idiota con il pisello in mano da cinque minuti e mentre lo faccio rincasare tra le mutande mi prometto che stasera non pubblicherò niente della serata al ristorante. Eccoci all’ingresso, la mia ragazza ha già pubblicato una storia in macchina dove lasciava intuire dove fossimo diretti. Ora, a guardare quell’ingresso pieno di luci, con il buttadentro tutto tirato, mi viene il pavloviano istinto di prendere il cellulare e fotografare tanto, tantissimo. Fotografare al punto di attraversare la strada per arrivare al locale guardando attraverso la fotocamera del mio cellulare rischiando la vita. Ma non posso, me lo sono ripromesso. Le scorie della coglionaggine me le sentivo ancora addosso e non posso mollare. Una volta entrati, vediamo la cucina a vista. O meglio vediamo un gruppo di persone con il cellulare in mano che fotografa la cucina a vista, prima tappa social fondamentale di chi va in questo ristorante. Per un attimo li osservo, e non capisco come il semplice atto di andare a mangiare a un ristorante si sia trasformato in uno strano fenomeno sociale dove la gente cammina con un cellulare in mano per fotografare tutta la cazzo di serata. Giro lo sguardo all’intero locale e tutti erano con il collo ricurvo verso il proprio dispositivo. Sono certo che tra 300 anni l’essere umano, per via dell’evoluzione, avrà un collo lungo due metri, ricurvo, e come un maiale non saprà più guardare il cielo.
La mia ragazza nel frattempo ha già fatto la storia nell’area soft drink, sotto la scritta “Da Pippo Cannelloni”, al cesso, sul pavimento, arrampicata alla pianta, e ha iniziato a fare foto anche alle posate per mettersele da parte. La tecnica era giusta: fai tante foto, poi capirai come cazzo pubblicarle. Ma io non potevo, non dovevo farlo. Devo disintossicarmi da questo mondo, ho avuto 5 secondi di lucidità in quel bagno del lungomare di Ostia, devo resistere. Arrivano le portate, la mia ragazza ha ormai inglobato il cellulare alla mano, preferisce ancora usare solo la bocca per mangiare ma quel cellulare, cristo, non lo posa più. Io mangio, ingoio il boccone amaro di un piatto che non ho fotografato e sento dentro di me che manca qualcosa, mi sento incompleto, inizio a chiedermi perché mi stia autoflaggellando. La mia ragazza sta talmente rincoglionita a rispondere ai commenti dei suoi seguaci che non si è neanche accorta che non ho ancora pubblicato nulla e vorrei urlare. Vorrei saltare sul tavolo, prendere il telefono e fare una panoramica di tutto il locale, vorrei urlare, vorrei dire a tutti: “SONO DA PIPPOOO CANNELLOONI!”. Sto mollando, me lo sento. Sticazzi dell’autoanalisi fatta in bagno. Sticazzi della mia scoperta di come stiamo andando a rotoli. Sticazzi tutto. Ho bisogno di fare una storia, ho bisogno di vivere. Sono appena uscito dal buco nero e mi rendo conto che abbiamo finito il dolce e capisco che iniziare a fotografare adesso sarebbe da veri perdenti. Vado in bagno, piango, senza rendermene conto faccio una foto allo specchio perché è giusto così: se c’è uno specchio in un luogo pubblico devi scattare una foto, è l’ABC.
Vado verso il tavolo e la mia ragazza è già pronta, in piedi, per andare via. Naturalmente non mi guarda, il successo avuto con il post sul dolce alla papaya ha steso tutti. Questa era la serata perfetta da pubblicare e io sono stato uno stronzo che ha iniziato a farsi pippe mentali in un mondo a cui ormai non frega un cazzo se hai una personalità. Questo mondo vuole che ti annienti, che io viva inebetito perciò davanti a uno schermo. Si! Voglio essere il primo dei tonti, sì, è la mia aspirazione. Non me ne frega un cazzo, voglio raggiungere i mille follower, voglio essere banale, da vomito. La serata però è andata a puttane. L’ingresso del locale è alle nostre spalle e ci incamminiamo verso la macchina ma all’improvviso ho il colpo di genio. Forse non tutto è perduto, posso ancora pubblicare qualcosa, posso confortare il mondo su dove sono stato questa sera. Sono certo che tutto il pianeta si sta chiedendo cosa cazzo ho fatto tutta la serata. Mi giro, afferro il cellulare, stendo il braccio e faccio un selfie liberatorio di me con alle spalle l’ingresso del ristorante. La didascalia la scrivo di getto:
“Appena passato dall’ingresso del locale, ho appena prenotato, tra 6 mesi vi dirò come si mangia qui”
Cazzo, che liberazione! Tra sei mesi potrò finalmente andare da Pippo Cannelloni.
Enrico Grimaldi