E’ esistito un uomo che è riuscito a rendere ancora più leggendario un mito intoccabile. Un regista pluripremiato che ha ispirato col suo film il musical campione di incassi al botteghino da oltre 50 anni. Il protagonista della sua pellicola ha smesso quest’anno di interpretare live il suo ruolo dopo 50 anni di repliche on stage. Il suo nome è su molti giornali negli ultimi giorni: nelle testate giornalistiche si leggono articoli che celebrano la sua felice carriera, per rendergli omaggio adesso che ha scelto di lasciarci arrivato ai suoi 97 anni. Una lista di film notevole (La calda notte dell’ispettore Tipps, Il violinista sul tetto, Rollerball, Agnese di Dio e Stregata dalla luna), molti successi e riconoscimenti, tre volte candidato al premio Oscar al miglior regista, insignito del Premio Irving G. Thalberg nel 1999 per essere stato uno dei produttori più creativi del cinema americano. Norman Jewson è stato un artista dal carisma immenso, pari solo alla sua umanità. Anche noi vogliamo celebrarlo per il suo talento straordinario e lo faremo riscoprendo che cosa gli ha permesso di firmare un capolavoro immortale, quello che ancora oggi dopo 50 anni vive un’eco che riverbera a piena potenza in tutti i grandi palchi del mondo: Jesus Christ Superstar; arte massima di un genio assoluto che attraverso questa sua opera si è espresso, manifestato e lasciato conoscere come uomo dalla grande sensibilità e lungimiranza.
Il primo incontro con Jesus Christ
1970. Norman è sul tetto di un palazzo, si sta divertendo, è ad una festa; sa che era uscito un nuovo disco, un’opera moderna. Un’opera rock. A lui piace il mondo musicale. Sta girando proprio in quel periodo Il violinista sul tetto tratto dall’ omonima commedia musicale andata in scena per la prima volta a Broadway nel 1964. Anche la tematica gli interessa… sta giusto esplorando per il suo prossimo film la religione ebraica, la storia del suo popolo. Quella sera qualcuno gli passa questo disco nuovo. Norman si trova a riflettere su quanto sia strano scrivere un’opera in quel tempo: nessuno scrive un’opera moderna. Una volta a casa lo mette sul giradischi senza curarsene molto, ma l’impatto è stupefacente. Il Jesus Christ Superstar (opera grandiosa di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber che vede incise le voci di Ian Gillan, Murray Head, Yvonne Elliman e la Grease Band -il gruppo che accompagnava Joe Cocker-) lo sconvolge e commuove talmente da farlo stare in piedi tutta la notte. Le immagini si mescolano nella sua testa ed ha chiaro di volerne farne un film. Sa di avere un suo contributo da aggiungere alla leggenda.
Ma cosa poteva migliorare in un’opera perfetta?
Jesus Christ Superstar nasce già come un’opera rock innovativa e visionaria ma il contributo di Norman Jewson, il modo in cui ha tradotto in visual concept quei testi e quella musica (scegliendo di aggiungere due brani nuovi essenziali al plot – Then we are decided/ Could we start again-) ha permesso di stravolgere totalmente prospettive religiose, dettami cinematografici (il film viene girato in sole due settimane usando solo esterni, luci naturali e fiaccole), assunti filosofici e ha restituito fede e coraggio ad una generazione in declino e a molte che arrivarono successivamente. Io personalmente, nata 10 anni dopo l’uscita del film, posso affermare di aver trovato nel Jesus Christ Superstar, da figlia di genitori atei, il mio sintetico vangelo personale, un’agile fonte di spiritualità e l’accesso più diretto e puro alla figura di Cristo e alla sua storia. Già la musica e le parole trasportano in un mondo alternativo a quello dei Testi Sacri conosciuti, raccontando la storia da un punto di vista inusuale, molto più carnale e umano: quello di Giuda. La genialità di Norman è stata cavalcare senza timore questa umanità sviscerando e affondando a piene mani in tutte le passioni che attraversano questa prospettiva. La differenza si vede e si sente. Rispetto all’album del 1970 i brani del film sono molto più densi, vivi, viscerali, sanguigni, appassionati. Questo è stato possibile anche grazie al lavoro straordinario di immedesimazione che ha fatto con il cast, in sole due settimane di riprese nel Giugno del 1973.
La scelta del cast
Scegliere il cast non fu cosa da poco. Alcuni interpreti avevano già inciso il disco del 1970 e sarebbero stati perfetti anche per la trasposizione cinematografica: Yvonne Elliman e Barry Dennen sono stati riconfermati subito (quest’ultimo aveva già recitato con lui ne “Il violinista sul tetto”).Carl Anderson era stato fortemente desiderato ma Norman ebbe il dubbio se far recitare nel ruolo del traditore un uomo di colore – dubbio sciolto subito per fortuna (Norman infatti sa che Giuda in questa visione è il protagonista inerme di un destino ineludibile vinto egli stesso dall’amore infinito verso il suo amico-fratello; un ruolo meraviglioso dunque che Carl, infatti, restituisce con un’interpretazione struggente e inimitabile). Di Gesù ne provina a centinaia. Andò poi a Los Angeles a vedere il musical Tommy dove Ted Neely recitava. Sarebbe partito il giorno dopo, non aveva tempo per fare provini e ma l’attore si presentò alla porta del motel di Norman con barba e baffi posticci.
Mi viene a trovare al motel, apre la porta e dice “Guadami con finta barba e baffi”. “E perché nn te la togli?”- “Voglio che mi vedi con l’aspetto di Jesus.” “Ma quello che mi importa sono gli occhi!”. Mi ha impressionato come personalità e ho promesso di fargli un provino ed è stato il migliore.
La scelta della location
Sarebbe stato difficile riportare la storia di Gesù nelle strade di Amsterdam o sul Sunset Boulevard di Hollywood! É piuttosto appropriato che siamo seduti qui con le sponde del mare di Galilea, con una chiesa ortodossa alle spalle, abbandonata come i principi di Cristo.
Norman decise di portare tutto il cast e la crew proprio in Israele, dove tutto successe, per dare la giusta ambientazione e il giusto mood; e a detta di Ted Neely fece bene perché nessun luogo più di quello aveva un’aria densa della spiritualità necessaria per entrare nel cuore dei personaggi. Per Yvonne e per Barry poter girare dove tutto ebbe inizio poneva il cast in un misticismo quasi magico: essere dove Gesù aveva camminato, percorrere la strada dolorosa, sedersi nel giardino dei Getsemani e guardare gli stessi orizzonti spiazzava e sorprendeva allo stesso tempo. La decisione di Norman di portare i giovani attori nella terra di Gesù è stata lungimirante, dunque, ha creato movimento e tensione (Israele era in guerra in quel periodo; i caccia e i cannoni comparsi nelle riprese erano peraltro un prestito non previsto dall’esercito israeliano) e ha aggiunto un quid ascetico alle performances.
Il lavoro con gli attori
Si approcciava a me come se fossi il più grande attore con cui avesse mai lavorato. Era una combinazione tra mio padre, mia madre, fratello, sorella e di ogni insegnante io abbia mai avuto. Non diceva mai “No questo no, è sbagliato”, ma diceva “Cosa ne pensi se proviamo cosi?”. Conosceva le persone e sapeva guidarle e farle sentire a loro agio quindi loro capivano lui di cosa avesse bisogno perché il film andasse.
-Ted Neely-
Moltissimi attori erano alle prime esperienze cinematografiche compresi Ted e Yvonne, ma lui ha saputo gestire con tatto e delicatezza le personalità concedendo uno spazio libero alla sensibilità personale; dava le indicazioni solo quando strettamente necessario e lasciava sperimentare gli attori liberamente. Riusciva a prendere il meglio delle loro proposte cavalcando ciò che era loro più congeniale dando, solo attraverso la suggestione, un canale di accesso privilegiato alla sincerità espressiva e interpretativa. I personaggi si sono rivelati e lui ha saputo tirarli fuori al massimo attraverso la macchina da presa. Esemplificativa la scena di Simone Zelota incitato da Norman ad una danza indiavolata non prevista dalla precedente incisione ma indispensabile a tirar fuori l’essenza più intima del personaggio: un fanatismo sfrenato. Il fatto che non esistessero dialoghi ma solo una forma operistica pura è stata una sfida entusiasmante, vinta dal regista a mani basse.
Il mito nel mito
Nessuno aveva idea dell’impatto del film durante le riprese tranne lui. Norman ha fatto credere anche i più scettici. Perché a questa storia così umana e bella non si può non credere. Norman fornisce un corpo e una psicologia a Cristo più di qualsiasi altra icona o rappresentazione; quasi come un moderno Michelangelo lo restituisce alla gente. E la gente lo sente. Ted Neely a questo proposito racconta che una volta, uscito da una replica del Musical, una donna commossa lo insegue per chiedergli di benedire la sua bambina.
Io le spiego che è tutta finzione ma lei non vuole saperne. Allora la abbraccio e le dico che andrà bene. É Un film che cambia le vite, spiritualmente, fisicamente. Influenza le persone profondamente. Ed è per questo che lo porterò in scena finché avrò voce.
-Ted Neely-
Ed è per questo che non ci stancheremo mai di ascoltare, di guardare, di cantare, di commuoverci… di essere discepoli del nostro personal Jesus (Christ Superstar): personale ma anche condiviso e quantomai universale, dono senza pari di quel genio indiscusso di Norman Jewson.
Serena Politi
Grazie Serena per queste righe piene di sincera passione. E grazie per avermi fatto conoscere tanto tempo fa questo capolavoro cosí intenso e mistico, che é stato, per lungo tempo, colonna sonora della mia vita.