L’Argante #140 || Il Marc’Aurelio – Storia di un grande impatto culturale

Il 14 Marzo del 1931 in Roma, viene fondata una rivista che rimarrà nella storia, ha per nome Marc’Aurelio è a pubblicazione periodica (2 volte a settimana, il mercoledì e il sabato) e per smarcarsi dalla censura fascista si orienta su un umorismo che esula la comune satira anti-governativa anche se non mancheranno tantissimi episodi e pubblicazioni in cui il potere non capirà nemmeno di essere toccato. I due fondatori sono Oberdan Cotone e Vito De Bellis che raccolsero i fuoriusciti delle più importanti testate umoristiche che avevano caratterizzato i primi decenni del Novecento. Cos’ha di tanto speciale? Molto semplice da qui muoveranno i primi passi fra i tanti Federico Fellini, Ettore Scola e Steno. Il sognatore, il realista e lo scrittore del cinema italiano, ma prima di arrivare alla fama cinematografica erano tre redattori del Marc’Aurelio, tre abili disegnatori di fumetti e spassosi umoristi.

Ettore Scola, Federico Fellini

Naturalmente non furono da meno le firme di tutti gli altri e nel percorso cinematografico di questi grandi registi ritroveremo alcune firme fra gli sceneggiatore che hanno fatto la loro fortuna, perchè per quanto l’occhio e le idee registiche dei tre sopracitati siano stati geniali, le parole, i dialoghi e le scene dei loro film hanno costituito una fonte inesauribile di ricordi e di spunti per il cinema italiano e mondiale, è così ora e lo sarà per sempre. Bisogna dunque citare Age, Scarpelli e Zavattini, senza il quale capolavori come Ladri di Biciclette e tutti i filmi di Fellini, Scola e Steno non sarebbero mai stati scritti.

Scola, Age e Scarpelli

L’uscita della rivista riscontrò subito uno strepitoso successo. Nelle prime settimane arrivò a 30–35 000 copie, mentre dal 1935 al 1940 superò le 350 000 copie. La rivista divenne un fatto di costume, i cui personaggi, come il Gagà o «Genoveffa la racchia» entrarono nei modi di dire della gente.

Storia editoriale prima, durante e dopo la guerra.

Sospese le pubblicazioni nel 1943, riprendendole, dopo la Liberazione, e fino al 1955, quando passò in proprietà all’editore Corrado Tedeschi, che trasferì la redazione a Firenze, dove concluse la sua avventura nel 1958. Tedeschi si avvalse di valenti disegnatori, tra i quali Castellano e Pipolo. Protagonisti di tutte le scritture cinematografiche del secondo atto del cinema italiano, a partire dalla fine degli anni ’70, dove avviene un vero e proprio cambio generazionale, con l’entrata sul grande schermo di nomi come Adriano Celentano, Renato Pozzetto, Carlo Verdone, Enrico Montesano, Paolo Villaggio, Lino Banfi e molti altri, tutto il filone delle commedie di serie A del cinema italiano sono firmate praticamente da Castellano e Pipolo, escono di scena i Gassman, i Tognazzi, i Sordi… anche se quest’ultimo resiste aggrappandosi al treno di Carlo Verdone, anche Manfredi prova a tenere duro, assumendo spesso ruoli secondari.

Castellano e Pipolo

La storia del Marc’Aurelio continua dopo l’interruzione a Roma nel 1973, diretto da Delfina Metz (figlia del celebre sceneggiatore Vittorio), con la supervisione artistica di Enrico De Seta. A quest’ultima stagione (26 numeri settimanali), breve ma intensa, parteciparono, accanto agli «storici» Attalo, De Seta, Claudio Medaglia, alcuni giovani autorevoli autori, come il caricaturista Sergio Ippoliti e il disegnatore Melanton (pseudonimo di Antonio Mele). Fu fatto un ultimo tentativo, per poche settimane, alla fine degli anni 90, sempre con Delfina Metz direttore, editore Giuseppe Mincuzzi e Carlo Palumbo direttore editoriale.

Molta satira di costume e ben pochi attacchi al fascismo al “Marc’Aurelio” tirava vento di fronda: si può dire che ogni settimana venivano composte due edizioni del giornale: una interna e redazionale, nella quale si irridevano agli orbaci, ai “fatali destini” e alle “folle oceaniche” e un’altra, addomesticata e rabbiosamente conformistica, che era poi quella che veniva stampata e messa in vendita.

Walter Faccini – Redattore 1959

Si cercava dunque di ridicolizzare, sopratutto, un certo snobismo provinciale degli uomini della piccola borghesia. Le nostre matrone romane o le supermaggiorate che popolano un certo cinema degli anni ’50, i vagabondi di Fellini, la carrellata di disgraziati che caratterizza le commedie di Scola e quelle made in Italy dal sapore spesso cinico e sempre amaro e malinconico, sono nate nella redazione del giornale qualche anno prima di approdare sul grande schermo. Inizialmente la testata avrebbe dovuto chiamarsi ‘Il cupolone’ costava 0,20 cent. L’intuizione fu appunto quella di pubblicare pezzi in linea con il regime e passare in sordina gli sfottò politici. La redazione del «Marc’Aurelio» negli anni Quaranta fu una vera e propria fucina nella quale prendeva forma gran parte del cinema italiano: una arruffata e originalissima scuola di cinema… all’italiana. Fu anche un posto piedo di eroi definiti di carta, ma non perchè dimostrassero chissà quale fragilità, ma poichè navigavano a vista raggirando con maestria inspiegabile ad oggi, il regime fascista. Il sottotesto del Marc’Aurelio arrivava nella profondità della critica: sociale, civile e politica. Va da sè che una volta liberati dal cappio fascista, i redattori in blocco regalarono perle a tutto il mondo, consacrando il cinema italiano, nel suo più grande e incontrastato momento.

 

Marco Giavatto

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