“Ma che noia il Natale non c’è mai qualcosa di nuovo.”
Questo è uno dei messaggi pubblicitari andato in onda in questi giorni alla radio, uno slogan che precede le feste natalizie.
La frase potrebbe essere insopportabile per chi dà un valore spirituale al Natale, lo spot induce a far credere che l’unico modo per assaporare questo appuntamento religioso, conoscere i suoi benefici e novità, sarebbe quello di recarsi in un noto mercato di Firenze dove poter comprare la migliore carne, i migliori prodotti alimentari e via dicendo. Viene da chiedersi: il Natale nella società attuale, è rappresentato solo da acquisti compulsivi? Tavole imbandite, frigoriferi pieni? Dove stiamo andando, cosa siamo diventati? Di messaggi e slogan pubblicitari come quello citato adesso, i mezzi di comunicazione sono saturi e accompagnano le nostre giornate tutto l’anno non soltanto nel mese di dicembre. Quasi un leitmotiv di cui non possiamo liberarci.
C’è un antidoto contro il consumismo? Se lo chiedono in tanti. Chissà forse si.
Secondo alcuni psicologi britannici “la riconoscenza, porta a maggiore felicità e soddisfazione nella propria vita.” Riscopriamo quindi il grande valore delle relazioni che ultimamente è stato tralasciato.
“Il materialismo, ovvero l’attitudine a dare più valore ai beni materiali che alle relazioni, produce l’effetto opposto. Analizzando le ricerche sul tema, mirare a ottenere beni fini a se stessi si correla con bassi livelli di benessere, felicità e soddisfazione, più sintomi di ansia e depressione, più problemi fisici tra cui le emicranie e un gran numero di problemi di salute mentale. In inglese si parla di affluenza, neologismo ottenuto combinando le parole per opulenza (affluence) e per febbre influenzale (influenza), per descrivere lo stato emotivo che deriva da un’ossessione per i beni materiali e l’apparenza.
Gli specialisti parlano di una sorta di virus psicologico che danneggia la nostra abilità di pensare e che si propaga attraverso programmi televisivi, riviste patinate e pubblicità. La credenza, per noi tossica, alla base di questa condizione è che la felicità abbia a che fare con la nostra apparenza fisica e con ciò che possediamo.
Esseri grati, contenti di quello che abbiamo, invece, ci fa provare gioia e soddisfazione per ciò che già abbiamo mentre l’industria pubblicitaria cerca di minare queste sensazioni, convincendoci che ci stiamo perdendo qualcosa.”
Si tratta solo di teorie?
Secondo le fondamenta del marketing sappiamo che se le persone sono felici del proprio aspetto, non compreranno cosmetici o libri sulle diete, se le persone sono felici di chi sono, di dove vivono, di ciò che hanno, semplicemente non sono e non saranno potenziali consumatori. Tutto ciò fa riflettere. Ogni anno vengono spesi nel mondo più di quattrocento miliardi di dollari in pubblicità per far passare il messaggio “Compra questo, e la tua vita migliorerà”. Tuttavia, mentre le persone nei paesi più ricchi comprano molte più cose di quanto facessero cinquant’anni fa, i sondaggi indicano che sono meno felici. La depressione ha raggiunto tassi da epidemia, nei paesi occidentali è probabile che una persona su due attraversi un episodio significativo di depressione nel corso della propria vita. Lo stile di vita che conduciamo ci sta rendendo più tristi. Forse la gratitudine e la riconoscenza possono avere un ruolo nella nostra disintossicazione.
“Lo psicologo Tim Kasser ha identificato due fattori principali che trainano il materialismo: una sensazione di insicurezza e l’esposizione a modelli sociali che esprimono valori materialisti. Essere soddisfatti di quello che già abbiamo secondo Kasser, aiuta a contrastare l’insicurezza, perché aumenta la sensazione di fiducia. Ci rende più propensi a restituire favori e aiutare gli altri, incoraggiandoci ad agire in modi che rafforzano le nostre reti di sostegno. La gratitudine ci informa che ci sono altre persone intorno a noi che hanno a cuore il nostro benessere e ci motiva a ricaricare le nostre riserve di capitale sociale attraverso atti di reciprocità”.
Insomma sapersi accontentare di quello che abbiamo, può offrirci una via d’uscita. L’attenzione si sposta da cosa ci manca a quello che c’è. Se dovessimo progettare una terapia culturale per proteggerci dalla depressione e, allo stesso tempo, aiutare a ridurre il consumismo, sicuramente includerebbe l’esercizio della gratitudine. Allenarci alla gratitudine fa parte della grande svolta? Eppure ci sono momenti in cui tutto attorno a noi sembra stupendo, in quei momenti non ci manca niente, succede quando siamo innamorati, quando la vita ci sorride, le cose vanno bene a casa e sul lavoro. Notiamo quel fiore giallo nato sull’asfalto che sembra essere lì per noi, apprezziamo il suo valore intrinseco, in esso c’è tutta la bellezza ed il mistero della vita, non lo cambieremmo mai con un altro regalo nascosto e infiocchettato dentro ad una scatola rossa luccicante.
Laura Privileggi