L’Argante 84 II La collina dei ciliegi

Lo scrivere canzoni si annovera certamente tra le arti del narrare.

L’importanza di un bel testo musicato ad esempio, rafforza il valore di un brano e ne amplifica la possibilità di immedesimazione per conto di chi lo andrà ad ascoltare. Chi racconta delle storie possiede dunque, la capacità descrittiva ed evocativa di immagini e sensazioni, elementi che stanno alla base del fine non ultimo di emozionare.

Senza scadere sugli inutili e banali paragoni odierni, che svilirebbero l’intento di valorizzare delle nobili parole, nel caso specifico parole in musica, nostalgicamente si prende in esame il testo Battistiano: La collina dei ciliegi, dove è impossibile non visualizzare all’istante ogni verso composto. Il testo, espressione del vincente sodalizio Battisti-Mogol, è stato pubblicato come singolo in uscita nel 1973, per l’album Il nostro caro angelo. Un album sempreverde che, usando un ossimoro, si impone in punta di piedi, nella quotidianità di ciascuno. Una spinta a compiere una riflessione filosofica dentro di noi sulla dicotomia di un ideale spirituale e quello terreno, quest’ultimo inteso nel senso più sprezzante. Un album splendente e puro che elogia la luminosità e la trasparenza dell’anima, contrapposta ad uno stile di vita che avanza in una direzione sempre più consumistica e volgare. Al centro di tutto: l’Amore. Fonte inesauribile di energie buone e liberatorie che danno forza e coraggio nel buttarsi in un vissuto totalizzante e profondo.

Battisti e Mogol

La collina dei ciliegi, da non confondere con Il giardino dei ciliegi, ultima opera teatrale di Anton Chechov composta nel 1903 in cui si mostra esattamente l’intento contrario del canto dei nostri musicisti, ovvero un dramma borghese che mostra dei personaggi sconfitti in partenza, arresi, naufragati in una vita non vissuta ma di sopravvivenza. Battisti, in opposizione, celebra un inno alla libertà e alla consapevolezza del sé. Canta un altrove che potrebbe esser posto sullo stesso piano dell’infinito leopardiano, un grido di speranza e quindi positività verso il protendere ad un oltre che risiede nel respirare a pieno la vita. Nel testo è forte la metafora del volo, come superamento dei limiti e vincoli sociali. Si descrive l’immaterialità dell’essere in quanto abbandono della consistenza fisica e materiale per valorizzare ogni elemento appartenente alla natura e quindi puro ed etereo come l’anima delle cose.

Canta la decostruzione dei pregiudizi in segno di un amore senza frontiere di genere, ed in quest’ottica, il brano si colloca ancora una volta quanto più attuale che mai, senza forzature ma con un intento fortemente poetico e delicato. In breve: una riconnessione all’autenticità più primordiale. In un mondo inquinato, snaturato, e disordinato diventa molto facile smarrire se stessi. Come una veduta dall’alto, questa canzone relativizza e minimizza i dettagli del giorno meno importanti. Aiuta a mettere a fuoco le priorità che di tanto in tanto si smarriscono tra il caos di una vita troppo contaminata da sciocchezze per la maggior parte del tempo.

Soltanto spogliandoci da accessori superflui possiamo riguadagnare il gusto per apprezzare una realtà semplice ma non vuota. Ed in questo intento, essere come vocalizza Battisti: Figli dell’immensità.

Riporto di seguito la trascrizione del testo, in questo modo, chi vorrà, potrà planare con le sue parole e con freschezza e vaporosità ritrovare la propria collina dei ciliegi.

Testo:

E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante
Cancella col coraggio quella supplica dagli occhi
Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante
E quasi sempre dietro la collina il sole

Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente
Ma perché tu non vuoi spaziare con me
Volando intorno la tradizione
Come un colombo intorno a un pallone frenato
E con un colpo di becco
Bene aggiustato forato e lui giù, giù, giù

E noi ancora, ancor più su
Planando sopra boschi di braccia tese
Un sorriso che non ha
Né più un volto, né più un’età

E respirando brezze che dilagano su terre
Senza limiti e confini
Ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini
E più in alto e più in là
Se chiudi gli occhi un istante
Ora figli dell’immensità

Se segui la mia mente
Se segui la mia mente
Abbandoni facilmente le antiche gelosie
Ma non ti accorgi che è solo la paura che inquina
E uccide i sentimenti
Le anime non hanno sesso né sono mie

No, non temere
Tu non sarai preda dei venti
Ma perché non mi dai la tua mano, perché?
Potremmo correre sulla collina
E fra i ciliegi veder la mattina (e il giorno)
E dando un calcio ad un sasso
Residuo d’inferno e farlo rotolar giù, giù, giù

E noi ancora, ancor più su
Planando sopra boschi di braccia tese
Un sorriso che non ha
Né più un volto né più un’età

E respirando brezze che dilagano su terre
Senza limiti e confini
Ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini
E più in alto e più in là
Ora figli dell’immensità.

 

 

Gaia Courrier.

Laureata in Progettazione di Eventi Per l'Arte e lo Spettacolo, dopo un master in sceneggiatura attualmente lavora nel campo editoriale.
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