Soren Kierkegaard:
“Per questo preferisco di gran lunga l’autunno alla primavera, perché in autunno si guarda il cielo. In primavera la terra”
Lo scorso 5 giugno il mondo intero è stato testimone dell’ennesima impresa sportiva nella storia del tennis. E se aggiungiamo che a fare da cornice e palcoscenico a tutto questo sia stato il Philippe Chatrier di Parigi, allora anche gli ormai pochi ignari rimasti possono già tentare di indovinare chi ne sia stato il protagonista. Il toro di Manacor o, si vous préfèrez, le Roi: Rafael Nadal Parera.
Il sodalizio che lega Nadal al torneo della ville lumière porta con sé tutte le caratteristiche della regalità, del resto. Per prima cosa, l’investitura: esattamente il 5 giugno del 2005, un ragazzino di Maiorca appena diciannovenne sconfigge Mariano Puerta in quattro set e si aggiudica quello che sarà solo il primo degli open di Francia da appendere in bacheca.
Alla conquista del trono segue la stabilizzazione del regno: quattro Roland Garros in fila (2005-2008, quest’ultimo anno coronato anche dal primo successo a Wimbledon e dall’oro olimpico di Pechino) in cui supera per tre volte in finale uno dei grandi rivali di sempre, “Re Roger” Federer.
Ogni reggenza prevede periodi di stallo e rischi di sovversione, ma la clamorosa sconfitta al quarto turno contro l’imponderabile Soderling nel 2009 fa semplicemente da preludio ai trionfi successivi. Il toro di Manacor riesce nell’impresa di migliorare la sua striscia positiva con un filotto di cinque successi allo Chatrier: è la fase di affermazione dell’effettiva longevità del suo potere, che continua tuttora, nonostante lo scorrere degli anni e gli acciacchi che pervadono le membra del sire. Memorabili in questo senso sono le due finali con Novak Djokovic (2012 e 2014) e l’ennesimo capitolo della saga Nadal-Federer del 2011, che sulla terra rossa presenta un bilancio impietoso a favore del maiorchino (14 a 2).
Saranno ancora quattro i successi dello spagnolo allo Chatrier: un’altra striscia in serie, tra il 2017 e il 2020. Il vigore e la determinazione con cui Nadal gioca la finale del 2020 contro il solito Djokovic fa rabbrividire: il numero uno al mondo della classifica ATP capitola in tre set (6-0, 6-2, 7-5) dopo “appena” – si fa per dire – due ore e trenta minuti.
La percezione, tuttavia, è che quella vittoria così importante e al tempo stesso così schiacciante sia destinata a sublimarsi come il colpo di coda di una carriera fastosa. È il tredicesimo titolo sulla terra rossa più ambita, ottenuto dopo una cavalcata senza freni: per la quarta volta in carriera, il toro di Manacor trionfa senza concedere nemmeno un set all’avversario, neppure al tennista più forte del momento.
Il 2021 è un anno particolare per il campione maiorchino. Non riesce ad andare oltre ai quarti di finale al primo slam della stagione, uscendo sconfitto a Melbourne dal greco Tsitsipas. I problemi fisici, in particolare quelli sofferti alla schiena, gli impediscono di partecipare a Miami e Rotterdam. Nonostante la sconfitta a Montecarlo contro Rublev, la stagione sulla terra rossa rinvigorisce le forze fisiche e soprattutto mentali dello spagnolo, che trionfa in due tornei a lui molto cari: Barcellona e Roma. Agli Internazionali d’Italia, torneo alla vigilia dello slam di Parigi, Nadal mostra i denti e gli artigli. La cavalcata è inarrestabile e lo vede vincitore uscente al torneo romano per la decima volta in carriera. In finale è sempre il solito Djokovic ad arrendersi al re della terra rossa, dopo tre set.
Il toro di Manacor, tuttavia, non riesce a ripetersi a Parigi qualche settimana dopo. In semifinale, si trovano l’uno di fronte all’altro, per la cinquantottesima volta in carriera, Nadal e Djokovic. La partita ha il sapore dello scontro epico. Nonostante l’assoluto valore e dignità dell’altro finalista (Tsitsipas), tutti sanno che da questa partita uscirà con ogni probabilità il prossimo vincitore della centodiciannovesima edizione del Roland Garros. I due titani – il tredici volte campione allo Chatrier e il numero uno al mondo – si affrontano senza esclusione di colpi. I primi due set, equamente distribuiti da un 3-6 e un 6-3, suggeriscono che non sarà semplice per nessuno dei due primeggiare. E nemmeno breve. Dopo quattro ore e undici minuti di gioco, un Nadal sempre più esausto si arrende ai colpi del fuoriclasse serbo. È una partita chiave per la carriera dei due. Djokovic diventa infatti l’unico tennista ad aver battuto per due volte Nadal sulla terra rossa più pregiata (lo aveva già sconfitto nel 2015 ai quarti, cedendo tuttavia in finale contro Wawrinka). Dato, questo, che non significherebbe molto se non fosse che le sconfitte dello spagnolo a Parigi sono in tutto tre. Il serbo vincerà poi in finale contro il giovane tennista greco, dopo una rimonta che lo aveva visto inizialmente in svantaggio di due set. È il secondo Roland Garros della carriera dopo quello del 2016, edizione che aveva visto Nadal ritirarsi al terzo turno. Per Nole, dunque, questa vittoria ai danni dello spagnolo significa molto, moltissimo. E per Nadal? Ha appena spento trentacinque candeline. I problemi fisici non gli permettono più di essere sul pezzo praticamente per tutta la stagione tennistica. La sindrome di Müller-Weiss che gli attanaglia il piede, gli impedisce di partecipare a Wimbledon e alle olimpiadi di Tokyo. In tutto, i mesi di assenza saranno cinque. L’assenza del re fomenta l’ambizione dei pretendenti al trono: inizia la stagione 2022 da sesto in classifica ATP. È proprio in questi momenti che il sovrano deve tornare a dare segnali di potere. Il 30 gennaio ottiene il suo secondo successo agli Australian Open, rimontando da 0-2 a 3-2 contro il russo Medvedev, favorito alla vigilia. Si presenta al Roland Garros, tuttavia, senza titoli conquistati durante la stagione in rosso. Il ricordo della sconfitta dell’anno passato è ancora cocente. Nadal sa che dall’edizione 2022 dipende tutto: si sarà trattato solo di una sconfitta in battaglia o dell’inizio della capitolazione di una guerra?
In effetti, dopo non aver incontrato grossi ostacoli nei turni precedenti, il maiorchino la “spunta” in cinque set contro il numero 9 della classifica ATP Félix Auger-Aliassime agli ottavi. E ai quarti c’è di nuovo lui, il campione uscente Novak Djokovic. La vendetta è un piatto che va servito freddo e così, dopo oltre quattro ore di gioco, Nadal ha la meglio sul serbo in quattro set. I due turni successivi, strano a dirsi, sono pura formalità. L’infortunio di Zverev e il conseguente ritiro del tedesco nel corso del secondo set della semifinale spalancano la strada del successo al toro di Manacor, che farà dell’altro finalista Casper Ruud una vittima sacrificale per il banchetto regale. Dopo due ore e venti di gioco è ancora lo spagnolo a salire sul trono, guardando tutti dall’alto. Ma a che prezzo? Il re esce distrutto dalla guerra. Una volta terminato il torneo, si sente libero di esprimersi, di sfogarsi e lasciar scappare quel po’ di essere umano che ancora si riconosce alla sua natura. L’emozione e lo sguardo in ogni intervista e conferenza stampa post-torneo trasudano sincerità. Lui solo sa che cosa ha dovuto affrontare per conquistare il quattordicesimo Roland Garros della sua carriera. E, parole sue, non avrebbe fatto né farebbe mai lo stesso con nessun altro torneo. La sindrome di Müller-Weiss è ormai giunta alla sua fase più acuta. Il piede, per far fronte al dolore, è stato anestetizzato per tutte e due le settimane dello slam, in modo da consentirgli anche la minima chance di successo. Ha dato tutto e fatto di tutto per essere competitivo. Il dolore e il sacrificio sono stati il prezzo da pagare per “vivere il sogno”. A domanda specifica dei giornalisti, tuttavia, risponde che scambierebbe senza esitazione uno dei suoi trofei parigini per la guarigione completa del piede. Dovremmo credere alle sue parole? Non sembra che i fatti lo smentiscano? Propenderei per la sua sincerità: qui è l’uomo oltre il campione che viene fuori, l’uomo che esige uno spazio per raccontarsi. Superman, del resto, non sarebbe tale se non fosse anche Clark Kent. In quell’intervista si osserva un Nadal che dichiara di volere una vita oltre il tennis, proprio quando sembra che abbia dato una vita intera per il tennis. Anche solo avere la possibilità di giocare a livello amatoriale con gli amici, una volta conclusa la carriera, è qualcosa a cui lui tiene molto. Personalmente, li trovo un messaggio e un insegnamento stupendi.
Quella dei re taumaturghi, d’altro canto, è soltanto una leggenda medievale e di diavoli con cui venire a compromesso non se ne vedono. E tutto questo Rafa lo sa. Sa anche che, se non risolverà in maniera definitiva il problema al piede (si è parlato anche di una complessa operazione chirurgica in vista per il campione), quella del 5 giugno potrebbe essere la sua ultima apparizione allo Chatrier. Sarebbe l’esito di una straordinaria avventura parigina: dopo aver battuto almeno una volta tutti e settantaquattro gli avversari affrontati al Roland Garros, aver collezionato 112 vittorie e solo 3 sconfitte su questa superficie, e aver avuto successo in tutte le 14 finali disputate, chiuderebbe nello splendore ancora abbagliante della sua luce.
Allo stesso tempo, però, lo farebbe con rassegnazione, accettando che il proprio corpo prenda la decisione più importante al suo posto. Sarebbe come una pacifica abdicazione al trono. Ma Nadal, abbiamo imparato a conoscerlo, non accetterà di buon grado un tale epilogo. I sovrani più grandi escono di scena sconfitti. Accettano di cedere il passo a chi si dimostra loro superiore. E per adesso, il migliore è ancora lui. Se dovessi scommettere, sarei pronto ad affermare che tra un anno ci troveremo di fronte un trentasettenne determinato a conquistare il quindicesimo titolo a Parigi. Più che una convinzione, forse, è piuttosto una speranza, che sono sicuro tutto il mondo degli appassionati del tennis sia pronto a condividere.
Ruggero Roni
Bellissimo articolo e belle parole per un grande campione, complimenti !!