E allora cominciamo:
Ho notato che molti “primi pezzi” dell’Argante sono stati “pezzi-personali-ricordo” o forse io “ricordo-personali-pezzi“, però il mio è diverso perchè vuole essere un “personale-pezzo-ricordo“.
Era il lontano 5 febbraio 1995. Avevo 6 anni, era una domenica, me lo ricordo come fosse 27 anni fa! Non ho dovuto nemmeno controllare sul calendario del telefono, tornando indietro nel tempo! Anche perché non volevo rischiare di fare qualche disastro, cambiare il corso degli eventi, per poi tornare ad un 2022 diverso! Su Rai Uno, che aveva un logo ben diverso da quello di oggi, andava in onda, in prima serata (in 4:3 su dispositivi con tubo catodico), il primo episodio della serie tv “PAZZA FAMIGLIA”, con la sigla e le meravigliose musiche di Claudio Mattone.
Si lo so, Enrico Montesano, quell’Enrico e quel Montesano! Roba che adesso se finisce in un contenitore differenziato di “cancel culture” nessuno se ne accorge (ironia della sorte il suo ultimo programma in prima serata su Rai uno nel lontano, ormai 2004 si chiamava “Trash [non si butta via niente]” ecco non buttiamo nemmeno lui). Ma c’è un prima e c’è un dopo Montesano cosa sia capitato nel durante non lo possiamo sapere, oggi se permettete vi parlerò del prima:
Chi se la ricorda starà già piangendo, se riflette sul tempo che passa e l’età che avanza o ridendo, ripensando alle puntate. Per chi non se la ricorda o non era ancora parte di questo pianeta vado a riportarvi la breve sinossi:
[Leonardo Capasso è un Architetto quarantacinquenne la cui vita viene completamente stravolta: di ritorno da un viaggio ritrova la casa vuota e una videocassetta in cui la sua seconda moglie ha registrato un messaggio d’addio lasciandolo, così, in balia di suocero e figli. Ce la farà Leo a trovare un equilibrio in mezzo alla sua “Pazza Famiglia”?]
Nulla di eccezionale, direte voi, leggendo questa descrizione e sarei d’accordo con voi se non sapessi che chi interpreta Leonardo Capasso è Enrico Montesano e, soprattutto, che chi veste i panni del suocero è Paolo Panelli, (di qui questa rivista on-line si è già occupata nell’articolo [L’Argante #37 || Elogio al “caratterista” – parte I di Marco Giavatto] sempre in coppia con Montesano tra l’altro, ma tanti anni prima) il quale scappa dalla figlia [moglie di Leonardo]perché non la sopporta, rifugiandosi dal genero e già questo è un espediente esilarante!
Montesano ne è ideatore, sceneggiatore, regista e protagonista. Un intreccio di storie e situazioni che travolgono l’Arch. Capasso, tra gag ed equivoci, dai quali ne esce, come nella miglior tradizione comica, “sconfitto”; il fulcro della narrazione che tiene saldamente le fila di tutta la vicenda: è il “capocomico”. Si svolge tutto, o quasi, nell’appartamento di Leonardo (scene di Gaetano Castelli, si quello di Sanremo!) con campanelli che suonano, porte che si aprono, telefoni che squillano, personaggi che si incontrano, il tutto potrebbe essere trasposto benissimo a teatro, con il pubblico in sala. Frutto di una tradizione tipicamente italiana di portare in scena un mix di ingredienti che funziona sempre, insomma la radice è sempre quella o meglio lo era: LA COMMEDIA DELL’ARTE. Di cui ovviamente Panelli prima e Montesano poi ma anche tutti i comprimari erano straordinari interpreti, lo sarebbe anche ora ma gli “algoritmi” hanno deciso che il pubblico ha cambiato gusti e allora le nuove serie non sono altro che ricette già pronte, a volte in scatola a volte solo da scaldare in forno, da consumare veloci e rapide senza aspettare neanche un secondo per il prossimo episodio. In questo caso passava addirittura una settimana intera, fra una puntata e l’altra.
Tra gli scenegiatori/autori dei dialoghi ci sono anche Enrico Vaime (che l’Argante ha ricordato in quest’articolo [clicca qui]), Marco Presta ed Antonello Dose, questi ultimi due forse qualcuno, come me, li ascolta tutte le mattine in diretta su Rai Radio2 nella, storica, trasmissione radiofonica “Il Ruggito del Coniglio” (dal 2 Ottobre 1995 ad oggi). Ma il vero coadiuvante di tutta la “baracca” è un Paolo Panelli, comicamente straripante, che, all’età di 70 anni, è un manuale vivente di comicità: espressioni, gesti, battute, tempi, pause. Un metronomo della risata, frutto della lunga gavetta ed esperienza televisiva e teatrale, che oggi sarebbe impensabile in un periodo storico caratterizzato da “Reels” e “stories” di 15 secondi, da followers virtuali a scapito del pubblico in carne e ossa e delle serate “no” dal vivo, da cui imparare per migliorare: quelle nottate in bianco a rianalizzare la performace sul palco in ogni aspetto per capire cosa non è andato.
Chiunque voglia fare questo “mestiere” (che mestiere non è) dovrebbe essere obbligato a vedere, anzi a studiare, Paolo Panelli in “Pazza Famiglia”. Montesano nelle scene con Panelli diventa, giustamente, la “spalla comica” e tutto scorre magnificamente. Non è la prima volta che li troviamo infatti duettarono anche nel celebre “Il Conte Tacchia” (1982-regia Sergio Corbucci); in “Zum Zum Zum – la canzone che mi passa per la mente” (1968); in “Sing Sing” (1983) ed in “Grandi Magazzini” (1986).
La serie televisiva si aggiudica il Telegatto come miglior telefilm italiano. Per i più “feticisti” della serie, come il sottoscritto, vorrei segnalare che la location del palazzo in cui abita l’Arch. Leonardo Capasso, e che apre il primo episodio sotto un temporale esagerato, si trova a Roma e più precisamente in Viale Carso 71 (angolo Via Ortigara), nel quartiere “Vittoria”, vicino piazza Mazzini.
Naturalmente “Pazza Famiglia” contempla anche una seconda stagione, ed è una delle serie tv meglio riuscite dagli anni ’90 ad oggi, perché figlia della gavetta, della professionalità, dell’esperienza, della consapevolezza. lo so sono di parte, ma è cosi e non voglio far nulla per nasconderlo!
VIVA MONTESANO (di qualche annetto fa), VIVA PANELLI, VIVA LA FICTION ITALIANA, VIVA “PAZZA FAMIGLIA”.
Marco Bernardini
Ah se la volete vedere ecco il link di RaiPlay [Pazza Famiglia]