Oggi è il 7 marzo, il che vuol dire che domani sarà la Giornata Internazionale della Donna. L’otto marzo è una data di estrema importanza, che serve sia per ricordare battaglie e conquiste passate, ma, soprattutto, per continuare a lottare e a rivendicare diritti che tutt’oggi noi donne ci vediamo quotidianamente negati.
Questo è il motivo per cui divento abbastanza irascibile quando mi accorgo che questa giornata viene ridotta semplicemente a un’occasione in cui gli uomini fanno gli auguri e regalano mimose a tutte le amiche/partner/parenti perché “è la vostra festa”. Questa è una giornata di lotta, di rivendicazione, di rabbia urlata nelle strade, nelle piazze e in qualsiasi altro luogo possibile, e fare auguri e regalare mimose non basta (anzi, non è proprio necessario in alcun modo). Quello che invece potrebbe essere utile e necessario è informarsi, conoscere le battaglie che le donne stanno combattendo e quali sono i motivi che le portano a combattere, ascoltare ciò che le donne hanno da dire senza giudicare o sminuire le lotte che stanno portando avanti.
Detto questo, ci sono svariati modi in cui una persona può scegliere di lottare e manifestare, e uno di questi è anche prendere un microfono e salire su un palco davanti ad un pubblico. L’arte è uno strumento potentissimo, che può rivelarsi davvero molto efficace se usato in una certa maniera.
Ed è per questo che, in vista della giornata di domani, ho deciso di parlare di due spettacoli di stand-up comedy della comica australiana Hannah Gadsby, Nanette e Douglas (entrambi inseriti nel catalogo Netflix, quindi facilmente reperibili).
Il tipo di comicità che Gadsby porta in scena è, a mio parere, davvero intelligente (oltre che veramente divertente), e serve anche per capire che esiste un modo per far ridere senza dover ricorrere necessariamente a prendere di mira e deridere categorie di persone che già non se la passano proprio benissimo nella loro vita di tutti i giorni (e che l’ennesimo maschio cishet che fa ironia a loro spese è quindi l’ultima cosa di cui avrebbero bisogno). Fa capire anche che non è vero che “non si può più parlare di niente”, ma che va fatto con cognizione di causa, cercando di capire su chi è necessario fare satira e che avere un microfono in mano e parlare ad una moltitudine di persone, oltre che essere un grande privilegio, è anche una grande responsabilità, ed è quindi necessario anche stare attenti al messaggio che veicoli (questo ovviamente se si cerca di essere persone perlomeno decenti, altrimenti si può sempre portare un pezzo transfobico a Sanremo avendo la certezza che tanto l’italiano medio si spaccherà dalle risate e non ci vedrà assolutamente nessun problema).
Gadsby nei suoi pezzi gioca su vari stereotipi, dimostra che si può fare, che non è un tabù, ma va anche poi a decostruirli, indirizzando la satira verso chi invece quelli stereotipi li ha creati e continua a portarli avanti. Dimostra che chi si lamenta della temutissima “dittatura del politicamente corretto” sta in realtà solo cercando una scusa per dire assolutamente tutto quello che vuole senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze che quelle parole potrebbero avere su categorie di persone già marginalizzate.
Nelle due stand-up però non troviamo solo frecciatine al patriarcato e agli uomini (anche se ce ne sono parecchie, soprattutto rivolte a quelli che dicono #nontuttigliuomini). In Nanette, dopo una parte iniziale di risate, ci vengono sbattuti in faccia i traumi di Gadsby, senza nessuna intenzione, a questo punto, di voler far ridere. Ci fa capire che cosa vuol dire essere una donna lesbica in una società fortemente maschilista, dato che questi traumi derivano, in diversi modi, sempre dalla violenza di genere che ha subito. Ed è per questo che decide di non volerci fare dell’ironia sopra, perché non vuole più darsi in pasto alle persone in cambio di una risata, rivendica l’importanza di non sciogliere la tensione in un racconto del genere, perché ridere dei traumi risulta per se stessa solo dannoso. Non vuole più fare autoironia, perché ritiene che se la comicità autoironica la fanno le persone ai margini allora “non è umiltà, è umiliazione”. Il tutto però è condito con battute sui maschi bianchi etero, che a mio parere sono sempre spassosissime (e a renderle spassose è anche osservare la reazione stizzita di chi di solito pretende di poter prendere in giro chiunque perché tanto “è solo una battuta”).
In Douglas invece il focus principale è sul tema dell’autismo, e Gadsby ci racconta di tutti i problemi che una persona nello spettro riscontra nella società. E ciò che fa è molto importante, perché dà visibilità a categorie di persone che di solito tendono ad essere invisibilizzate, e dà loro la possibilità di vedersi rappresentate. E, in tutto questo, fa pure ridere.
A mio parere questa è la comicità davvero provocatoria, che fa indispettire i privilegiati e i potenti, facendo ridere senza il bisogno di mettere i piedi in testa alle persone che già vengono schiacciate fin troppo.
Per questo, se davvero domani volete fare un gesto che abbia importanza, risparmiate tempo e soldi sulla mimosa, e prendetevi un momento per guardare e riflettere su ciò che Hannah Gadsby porta sul palco.
Poi, se proprio volete esagerare (e, seriamente parlando, se ne avete la possibilità), ci vediamo in piazza (a Firenze partirà un corteo studentesco alle 9.30 da piazza Santissima Annunziata, e dalle 15.00 inizierà il concentramento con successivo corteo di Non Una di Meno, sempre in piazza Santissima Annunziata).
Buon otto marzo a tuttə.
Irene Bechi