Nelle ultime settimane la nostra Serena Politi ci ha accompagnati in un originale viaggio nel mondo Disney. Con i suoi articoli – a partire da un tuffo nel passato con la Biancaneve del 1937 – ci ha esortati a guardare (a)i nostri cartoni preferiti con occhio critico, regalandoci spunti di riflessione tutt’altro che scontati ed un’analisi a puntate di alcuni dei personaggi femminili più famosi. Quello Disney è, infatti, un mondo dalle mille sfaccettature, che ha – o almeno ha avuto – grande importanza nella vita di tutti noi e che continua a far sognare bambini ed adulti di tutte le età.
Uno dei tanti volti dell’universo colorato e variegato dei cartoni animati è quello dei loro adattamenti teatrali, che sono stati proposti sotto forma di musical a Broadway, nel West End londinese, nonché in numerosi altri teatri in giro per il globo, talvolta come veri e propri kolossal. Dallo schermo al palcoscenico il passaggio è stato breve – spesso è stata questione di due o tre anni – ma tutt’altro che banale. Già alla loro origine, i film di animazione Disney nascono, infatti, da un concerto di professionalità straordinarie, tra cui spiccano compositori e parolieri che hanno saputo rendere magica la nostra infanzia grazie ad indimenticabili colonne sonore. Su questa base solida di note e divertimento, è bastato costruire una struttura scenica di grande impatto, e affidarsi a ciò che di meglio Broadway ha da offrire, per creare spettacoli difficili da dimenticare.
Beauty and the Beast
Il primo adattamento teatrale di un cartone Disney è stato il musical Beauty and The Beast del 1994, che ha debuttato al Palace Theatre di New York. Come nel caso dell’omonimo film di animazione, le musiche dello spettacolo hanno la firma di un mostro sacro del mondo Disney (e non solo) quale Alan Menken. I testi sono stati invece scritti dal compianto Howard Ashman – cui è dedicato il cartone animato del 1991, uscito pochissimi mesi dopo la sua morte – e dallo straordinario Tim Rice, creatore di pilastri del teatro musicale, quali Jesus Christ Superstar, Evita e Chess.
E se la storia di Belle la ricordiamo benissimo – altrimenti ci pensa Serena a rinfrescarci la memoria – forse non tutti conoscono gli aneddoti che si celano dietro una delle produzioni più durature di Broadway. Dopo essersi spostato al Lunt-Fontanne Theatre, lo spettacolo ha chiuso i battenti solo nel 2007, dopo 13 anni dalla prima messa in scena e dopo più di 4500 performance. Per dare un’idea dell’impegno umano (e non solo) necessario per mandare avanti una macchina quale Beauty and The Beast, ci piace ricordare che sono stati usati, negli anni, ben oltre 700 libbre (circa 317 chili) di butano per illuminare le braccia di Lumière e che il protagonista maschile impiegava, nei primi anni di show, non meno di tre ore per riuscire a trasformarsi, tra protesi, trucco e parrucco, nella famosa Bestia.
Non vi era proprio niente di scontato in una produzione di questo tipo: ad esempio, ci è voluto un anno e mezzo di lavoro per realizzare la palla di fuoco – la prima creazione nel suo genere – prodotta dalla Maga in una delle prime scene. Si tratta, infatti, della prima testimonianza, in ambito teatrale, di un oggetto ‘infuocato’ che poteva essere lanciato e “ardere al sicuro” tra le mani dell’attore fino al suo spegnimento.
The Lion King
Dopo un breve passaggio da Minneapolis, Il Re Leone ha debuttato nel 1997 a Broadway, al New Amsterdam Theater, per poi spostarsi al Minskoff Theatre, che lo ospita ancora oggi. E’ il terzo spettacolo per longevità nella storia di Broadway, nonché il primo tra le produzioni Disney per il palcoscenico. Si è aggiudicato addirittura sei Tony Awards nel 1998, tra cui il premio per miglior musical. Come nel caso del cartone, i brani originali sono firmati niente meno che da Elton John e dal “solito” Tim Rice, con contributi di altri eccellenti compositori di colonne sonore, tra cui Hans Zimmer.
Il musical si contraddistingue per il suo impatto visivo e per la sua struttura complessa, che unisce varie tecniche teatrali e specialità artistiche. Anche in questo caso i numeri sono da capogiro: nello spettacolo si parlano cinque lingue, tra cui Swahili, Xhosa e Zulu; è necessario lo sforzo collettivo di 114 persone per mettere in scena una sola replica dello show; mentre, per illuminarlo, vengono utilizzate più di 700 fonti luminose.
I primi anni Duemila
Sempre con l’autorevole firma di Alan Menken – stavolta con testi di Stephen Schwartz – ha debuttato nella seconda metà del 1999 la versione teatrale de Il Gobbo di Notre Dame, che ha visto la luce a Berlino, dove resta ancora oggi uno degli spettacoli di maggior successo nella storia della capitale tedesca. The Hunchback of Notre Dame è stato il primo musical targato Disney ad essere andato in scena per la prima volta al di fuori degli Stati Uniti, tra l’altro in una versione più cupa, rivisitata e più fedele alla storia originale rispetto al cartone animato. A questo proposito, menzione speciale non può non ricevere l’altro musical ispirato al romanzo di Victor Hugo, Notre Dame de Paris, che non ha niente a che fare con la produzione Disney, ovviamente, ma che è riuscito ciononostante a catturare per anni e anni un pubblico internazionale, grazie ai meravigliosi brani nati dal genio di Riccardo Cocciante e di Luc Plamondon.
E se, tra il 2006 e il 2007 è stato il Tarzan di Phil Collins a calcare le scene newyorkesi, l’anno successivo è toccato alla Sirenetta, con tutte le canzoni originali del cartone ma anche alcuni extra, ideati per l’occasione da Alan Menken insieme a Glenn Slater.
Le sperimentazioni più recenti
Nel 2011 è stata la volta di un altro “figlio” di Menken, Aladdin – con la sua “principessa delle prime volte“, come è stata descritta Jasmine dalla nostra Serena – seguito da Pinocchio, Hercules, Jungle Book e da uno dei cult assoluti degli ultimi anni, Frozen, le cui repliche a Broadway hanno sofferto un’interruzione prematura a seguito dello scoppio della pandemia. Non sono mancati, inoltre, adattamenti per il palcoscenico di film considerati grandi classici Disney più o meno recenti, quali Mary Poppins e Newsies (visionabile su Disney+).
Altri punti di vista
Le fiabe tradizionali, come gli scritti di Rudyard Kipling, hanno ispirato anche altri creatori ed artisti, che hanno deciso di realizzare musical ispirati a tali storie, sapendo tuttavia assumere una posizione anticonformista rispetto alle tematiche principali e sicuramente alternativa rispetto alla classica narrativa Disney. Ad esempio, nel 2021, a Londra (dove è ancora in scena) ha debuttato la Cinderella di Andrew Lloyd Webber, altro gigante del teatro, compositore, tra gli altri, delle musiche de Il Fantasma dell’Opera, Cats ed Evita. E’ sicuramente interessante comparare la visione classica che abbiamo della nostra eroina bistrattata, la lettura approfondita del suo personaggio che ci regala Serena e la versione che ci ha voluto restituire questo nuovo musical che vede come protagonista l’attrice, cantante, autrice e youtuber Carrie Hope Fletcher. Nella versione di Andrew Lloyd Webber, prima ancora che inizi la storia, Cenerentola si è trasformata in una cameriera ribelle e in puro stile goth, con i capelli neri e il trucco marcato, ben lontana dalla ragazza acqua e sapone che canta agli uccellini. L’intero show ci pone intelligentemente davanti ad interrogativi importanti, circa il significato dei concetti di bellezza e perfezione, ricordandoci quanto sia importante essere se stessi al di là delle etichette.
E “una favola sull’umanità e un inno alla differenza” vuole essere anche il Jungle Book di Robert Wilson, che sarà al Teatro della Pergola di Firenze dal 3 al 6 febbraio 2022. Lo straordinario regista, in collaborazione con il duo statunitense Cocorosie, riempirà di colore il teatro fiorentino con uno spettacolo di teatro musicale che promette di sorprenderci come pochi altri. Non ci resta che andare a vederlo!
Silvia Bedessi