In questo lunedì ci si tuffa negli archivi televisivi della vecchia Rai. Ripeschiamo il 1977 attraverso un programma televisivo trasmesso su Rai Due ogni mercoledì sera per dieci puntate: Match. Da un’idea di Arnaldo Bagnasco (sceneggiatore, giornalista, conduttore televisivo e critico cinematografico), il programma è stato condotto abilmente dallo scrittore, giornalista, critico teatrale e per ultimo politico Alberto Arbasino. Le puntate avevano lo scopo di mettere a confronto due personalità dissimili fra loro accumunate soltanto dalla professione esercitata. Quindi venivano invitati due attori, due scrittori, due giornalisti… insieme ad Arbasino che fungeva da moderatore o istigatore per i due ospiti affinché dall’incontro scaturisse un acceso confronto. Il dibattito era diviso in due parti, con una durata di circa venti minuti/mezz’ora, durante il quale ognuno poteva rivolgere all’altro delle domande spinose o polemiche. Spesso i due rivali erano attorniati da altrettanti ospiti amici o collaboratori professionali che potevano intervenire rilanciando nuove domande provocatorie o acute osservazioni per alimentare il dibattito verbale. Tra i “match” passati alla storia si ricorda senz’altro quello avvenuto tra Mario Monicelli e Nanni Moretti, ad oggi riconosciuto come “epico”.
Per primo Arbasino prepara il campo da gioco, presentando gli ospiti ed introducendo una panoramica sulla situazione del cinema italiano che i due disquisiranno ciascuno secondo le proprie vedute.
Servendomi delle parole di Arbasino:
Monicelli, sessantaduenne, famoso maestro della commedia all’italiana ed autore di grande successo di lavori come I soliti ignoti, L’armata Brancaleone, La grande guerra, I compagni, La ragazza con la pistola e molti altri sino all’ultimo successo Un borghese piccolo, piccolo (Il cui soggetto è tratto da un romanzo di Vicenzo Cerami e con l’interpretazione dell’amato Alberto Sordi). Quarant’anni di cinema di grande successo in un campo che molti anni fa alle origini era considerato la vergogna della cultura italiana. Nel grande spazio ad esso è diventato invece uno dei generi più amati con vizi e difetti raccontati attraverso una quantità di commedie di successo che sostituiscono la sociologia e il romanzo della rappresentazione del carattere degli italiani.
Passando all’altro ospite:
Nanni Moretti, ventiquattrenne, diventato improvvisamente famosissimo nei circuiti alternati e nei cinemini di Roma e Milano e da qualche tempo alla televisione con il film “Io sono un autarchico”. Film girato con pochissimi soldi, con un super 8, fatto con amici e mezzi di fortuna, completamente all’opposto di quella specie di sistema produttivo di grandi attori e registi di cui è pieno esponente Monicelli.
A questo punto il conduttore passa la palla agli interessati, chiedendosi aldilà delle differenze generazionali dei due, se fosse possibile considerare Moretti l’esponente di un nuovo modo di far cinema:
Moretti pronto risponde: “Siccome questo è il mio ruolo, faccio il giovane arrabbiato e cattivo” chiarendo il suo modo di far cinema e spiegando la ragione per cui secondo la propria visione il pubblico non ha bisogno di attori noti e oltretutto i film non hanno bisogno di attrici belle come pensano produttori, registi e distributori italiani. I film americani di quel tempo, sono pieni di protagoniste donne non considerate belle. Così Moretti chiede la provenienza di quella ricerca ansiosa e angosciosa del successo dei film di Monicelli, sostenendo che la generazione di questi registi abbiano un rapporto coloniale con il pubblico. Da qui in poi, si entrerà nel cuore del dibattito dove Monicelli analizza un po’ la storia e le dinamiche della struttura cinematografica italiana. Interverranno sceneggiatori appartenenti alla generazione di Monicelli come Leo Benvenuti e Piero De Bernardi. Attrici come Norma Jordan, Carla Tatò e Angelica Ippolito. Si analizzano i costi di produzione e l’importanza che essi conferiscono ad un film. Moretti, nei panni del giovane contestatore dichiarerà:
Io semplicemente penso che il pubblico non abbia bisogno delle leggi che avete stabilito voi.
E ancora
Gli aiuti registi con voi rimangono servi della gleba fino alla morte. Perché non volete avere discepoli? Al massimo imparano a diventare cinematografari de Roma cosi, ma voi a vostra volta penso siate discepoli di qualcuno…
Allora Monicelli risponderà nel pieno controllo di una certa esperienza, di chi la propria storia l’ha vissuta, dicendo la sua a riguardo della direzione che il cinema italiano stesse prendendo allora. Il cinema è sempre il cinema, ci spiega il maestro.
Oggi si passa dall’avere ed ottenere un successo creativo ad un successo produttivo, soffocando così il primo. Che sarebbe quello più importante.
Ma noi ad oggi come risponderemmo a tutte queste riflessioni, dichiarazioni, domande?
È certo che la situazione sociologica nel nostro panorama culturale ha subito qualche modifica. Se un tempo, in Monicelli, come tra l’altro si esplicita nel match, era difficile beccare una protagonista donna nelle trame dei film, ad oggi questo non è più un’eccezione. Alcuni personaggi marginali ed irreali adesso si avvicinano maggiormente alla nostra quotidianità. Sicuramente la commedia all’italiana che dopo i suoi esordi era riuscita a sradicarsi di dosso il peso di aver compianto vizi e virtù degli italiani, è tornata fortemente alla ribalta con i suoi stereotipi svalutanti. Ma non sono convinta che sia così anche per tutto il resto delle tematiche affrontate nel suddetto confronto. Secondo Monicelli, certi Kolossal non sono altro che frutto di condizioni di mercato. Sono “cadaveri che stanno in piedi non sapendo di esser morti”. Un kolossal che costa miliardi è segno di un prodotto di iniezioni di formalina. Un enorme spettacolo comparato ad un circo equestre che va avanti in questo modo. Moretti già in quegli anni affermava che un giovane quando inizia a fare film “dev’essere presuntuoso per forza perché il cinema italiano è brutto!”.
Ma allora quale sarebbe la giusta direzione?
Leggendo tra le righe dei due grandi registi, si intravedono note di stima reciproca e condivisione. Monicelli infatti, apprezza l’allora emergente Moretti per il tentativo di cambiare un linguaggio ben consolidato ed fedelmente accettato. Per aver avuto delle idee nuove da dimostrare anche se con pochi mezzi. “Il cinema è quello che ha cercato di fare lui”, dichiarerà per l’appunto Monicelli. Certi stili cinematografici sono il frutto di una maturazione politica, civile di un paese e i registi senz’altro divengono i portavoce di quest’espressione.
Il resto del dibattito si esaurisce con argute osservazioni reciproche in cui non tutto viene chiarificato ma lascia lo spettatore interrogarsi per primo. In questo programma si assiste ad uno scambio di vedute opposte fatto con eleganza ed intelligenza e sembra quasi impossibile scegliere uno schieramento. Il dire la propria spesso è ritmato velocemente ma non per ostacolare il pensiero dell’altro bensì per l’entusiasmo di aggiunger un valore a quella comunicazione di pensieri. Dall’idea di una battaglia verbale, davanti a personaggi come Mario Monicelli e Nanni Moretti, non si può che esser colpiti dall’unica arma inoffensiva: Cultura.
Per chi volesse recuperare questa piacevolissima conversazione, qui di seguito il link di riferimento: https://www.raiplay.it/video/2016/11/Mario-Monicelli-e-Nanni-Moretti-422dbd69-d721-48ad-b9c7-5932a2f01af1.html
Gaia Courrier.