Cade proprio nel 2021 il novantesimo anniversario della scomparsa di Enrico Rastelli, pioniere della giocoleria e artista che ancora adesso viene considerato uno tra i migliori giocolieri mai esistiti.
Rastelli, forse sconosciuto ai più, rappresenta un pilastro per l’arte del juggling; famoso in tutto il mondo ai tempi, tutt’oggi gli viene attribuito il merito di aver portato grande innovazione nella giocoleria, compiendo un primo passo verso la tecnica contemporanea.
Fin dalla nascita, nel 1896, fu totalmente immerso nel mondo del circo, sottoposto ad estenuanti ore di prove ogni giorno; durante l’adolescenza poi i genitori si accorsero delle sue enormi potenzialità nella giocoleria ed iniziò quindi in quel momento la sua specializzazione nella disciplina. Da allora, Rastelli cominciò ad esibirsi in numeri mai visti prima, in principio assieme ai genitori, per poi passare a performances da solista.
Il vero successo iniziò ad arrivare dal 1921, anno in cui gli venne proposto di esibirsi anche in Francia e in Inghilterra. Fu anche l’anno in cui, grazie alle numerose offerte di lavoro ricevute, decise di allontanarsi dall’ambiente del circo, per cercare più fortuna nei più rinomati teatri di varietà. Fu da lì che iniziò la sua ascesa al successo: nel 1923 arrivò ad esibirsi al Palace di New York, il teatro di varietà più importante degli Stati Uniti. Dopo quella performance Rastelli arrivò ad essere definito il più grande showman di tutti i tempi, e iniziò a comparire in tutte le locandine dei teatri di varietà dove si esibiva.
Un successo di tali dimensioni non fu, ovviamente, ingiustificato. Enrico Rastelli era riuscito infatti a portare in scena un qualcosa di mai visto prima, cambiando totalmente il modo di intendere la giocoleria. La sua incredibile maestria derivava soprattutto dagli estenuanti allenamenti che praticava ogni giorno, anche a discapito delle sue condizioni fisiche, che spesso ne risentivano. Rastelli, durante le sue prime esibizioni, colpiva il pubblico fin dal primo secondo in cui entrava in scena: si presentava infatti indossando un kimono, e fin da subito si potevano notare le sue movenze agili e leggere, che proseguivano poi anche durante l’esecuzione di complicati esercizi tecnici. Rastelli giocolava con eleganza, velocità e perfetta simmetria, andando in contrasto con la maggior parte dei giocolieri dell’epoca, che nelle loro esibizioni erano invece lenti e macchinosi. Un altro suo punto di forza di era l’equilibrio; durante i suoi numeri si esibiva spesso con bastoni e palle, che teneva in equilibrio in qualsiasi maniera possibile, con tecniche inimmaginabili.
Fu anche molto attento alle esigenze del pubblico; dal 1930 infatti, dato il successo che lo sport del calcio stava ricevendo in quegli anni, decise di esibirsi come “giocoliere-calciatore”, portando in scena delle sfere di cuoio cucito, con le quali eseguiva esercizi aggiunti al suo numero già esistente. Una parte dei suoi spettacoli divenne addirittura interattiva, dato che il giocoliere si faceva lanciare numerosi palloni dal pubblico, per riprenderli con qualsiasi parte del corpo, creando sempre nuove occasioni per eseguire equilibri o passaggi che lasciavano a bocca aperta. Fu anche il primo a portare in scena numeri di giocoleria dalla lunga durata, raggiungendo quasi un’ora di esibizione, a differenza delle performances dei suoi colleghi che duravano solo pochi minuti.
L’importanza di Rastelli era tale da potergli permettere di inserire nei contratti qualsiasi clausola lui volesse, riuscendo ad ottenere compensi aggiuntivi, la posizione che desiderava in scaletta e, addirittura, il teatro disponibile per le prove a qualsiasi ora lui lo desiderasse. Anche per la stampa, che mai prima di allora si era interessata così tanto ad un giocoliere, era diventato una vera e propria celebrità, tanto che i giornalisti non solo scrivevano numerosi articoli sui suoi spettacoli e sulle sue incredibili abilità, ma addirittura iniziarono a volerlo immortalare in ogni posa immaginabile, arrivando a seguirlo persino nei luoghi dove alloggiava durante le tournée. Rastelli, per tutta la durata della sua carriera, riuscì anche a guadagnare e mantenere la stima e l’ammirazione da parte di tutti gli altri giocolieri, che oltre a rimanere sbalorditi davanti alle sue capacità, raccontavano anche di come il giocoliere fosse sempre pronto a dispensare consigli ai suoi colleghi, arrivando addirittura a regalare attrezzi di scena che lui non utilizzava più.
Dopo numerosi successi in giro per l’America e una tournée nelle principali città europee, nel 1931 riuscì finalmente a tornare in Italia, al teatro Duse di Bergamo, con un’esibizione che fu, inaspettatamente, l’ultima della sua vita. Il giocoliere infatti pochi giorni prima, durante un suo spettacolo in Germania, si ferì accidentalmente con un bastoncino che teneva tra i denti, a causa di un pallone lanciato con troppa potenza da una persona del pubblico. Nonostante la ferita però, Rastelli continuò ad allenarsi ed esibirsi anche nei giorni successivi, aggravando in questo modo le sue condizioni di salute e morì nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1931, a soli trentaquattro anni.
La notizia della sua morte sconvolse persone in ogni parte del mondo; al corteo funebre parteciparono numerosissimi, tra cui anche molti suoi colleghi artisti. Vennero scritti anche decine e decine di articoli per annunciare la scomparsa di quello che era stato, e sarebbe rimasto, il giocoliere più grande del mondo.
Il giornalista Orio Vergani, il 14 dicembre 1934, scrisse:
Enrico Rastelli non si «racconta». Non si spiega quello che fu il suo «numero», l’esercizio che ogni sera, davanti ai pubblici di tutto il mondo, avvicinò al prodigio quest’uomo che, nel centro della pista di un circo o alla ribalta di un teatro, mostrava di poter vincere, sorridendo, tutte le leggi della gravità e dell’equilibrio o, meglio, di avere carpito il segreto dell’ultima resistenza di quelle leggi, per comporne, sui limiti dell’assurdo, un gioco meraviglioso. (…) Attorno al suo corpo gli oggetti, cadendo o salendo, girando e balzando, costituivano con il susseguirsi rapidissimo, inafferrabile allo sguardo, di queste pause magiche, un alone, un’atmosfera entro la quale non v’era più ubbidienza alle leggi della statica. In questa atmosfera, la mano di Enrico Rastelli penetrava a scomporre e a ricomporre a volontà, con tocchi lievissimi, una paradossale geometria aerea di cose che, ruotando, avrebbero dovuto tutte cadere e invece non cadevano, ma ubbidivano senza rumore a quella che poteva sembrare un’attrazione del suo corpo, l’influsso calamitato della sua mano. (…) La morte aveva toccato Enrico Rastelli con una mano che era anche più leggera della sua di giocoliere, come per una macabra sfida. Rastelli pensava di guarire. Poi a un tratto, fu un folto velo di tenebra, nel cervello, forse come quando la ridda dei suoi giochi giungeva al parossismo e doveva troncare il prodigio, mascherando la fatica di un inchino. Egli forse sentì, in quell’istante, qualcosa cadere, qualcosa che più non ubbidiva. Era la sua vita che cadeva, in un attimo, e né la sua mano né la mano di nessuno bastava ormai per riprenderla. Quel miracolo di equilibrio che è l’esistenza si scomponeva e si disfaceva in un baleno di sangue, nel buio della notte. La mano magica di Enrico Rastelli non si muoveva più.
Irene Bechi