È stato detto che il Coronavirus ha “riavviato” gli ingranaggi della storia, dandoci di nuovo l’impressione di vivere nel mezzo di un flusso temporale con alti e bassi anziché in un eterno presente sincronico e sempre uguale a se stesso… Ma quand’è che la storia si è fermata? Ormai ci separano vent’anni da quell’evento che “congelò” il destino dell’umanità in una bolla di orrore senza uscita: era l’11 settembre 2001 ma sembra ieri, anzi oggi, anche per coloro i quali non possono ricordare direttamente, perché è sufficiente accendere il televisore su un qualunque notiziario per rendersi conto di quello che sta accadendo in Afghanistan e capire che i traumi (specie se collettivi) lasciano tracce che si esacerbano…
E che il cinema tenta di fare proprie, nell’idea che provare a raccontare sia il primo passo per un tentativo di guarigione: da Spike Lee (“La 25ª ora”) a Paul Greengrass (“United 93”), da Kathryn Bigelow (con “Zero Dark Thirty”) a Kevin Macdonald (con il recente “The Mauritanian”), il dolore si fa immagini e le immagini cuciono un filo di sutura per rimarginare le cicatrici; e proprio OGGI, nel giorno dell’anniversario degli attentati al World Trade Center, propongo la visione di un’ulteriore opera sull’argomento, nel video sul mio canale YouTube (L’umile CINEanalista).
Il “giorno più brutto”: così lo chiama Oskar, bambino dall’animo rovente e trasparente (sul ricordo di Billy Elliot, altro fanciullo “difficile” ma guerriero del cinema di Stephen Daldry), senza peli sulla lingua ma con un grosso fardello dentro… Il film, tratto da un romanzo di Jonathan Safran Foer, è un’apnea turbinosa nei suoi pensieri e nelle sue emozioni inespresse, in un flusso di coscienza che è verbalmente straripante (e a tratti barocco, forse a causa dell’origine letteraria), fra l’angoscia (i vari messaggi in segreteria telefonica, riascoltati solo in seguito) e il desiderio di liberazione, fra la scoperta e lo smarrimento… Gli insegnamenti del (delizioso) papà Tom Hanks e il supporto di un anziano Max von Sydow senza voce conducono il protagonista a un vagabondaggio che prova a (ri)comporsi come ricerca della verità e del senso: e se un senso però non ci fosse? A vincere è la lacrima (che fa bene, perché pulisce dalla sofferenza) e l’abbraccio di tutta una comunità (e di ciò che resta di una famiglia): i pezzi si possono riassemblare, ma solo insieme…
Simone Trevisiol
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La Video Recensione di Molto forte, incredibilmente vicino