L’evoluzione storica dell’Attore ha con sé scontate origini ataviche, ma quasi in modo universale viene accettata l’ipotesi che il primo attore della storia faccia riferimento a Tespi, un greco dell’Attica che nel VI secolo a.C. ebbe la fama di tragediografo ed attore. Tespi esordì salendo su di un palco ad Atene, in occasione della celebrazione delle feste Dionisiache. Si mise a parlare durante una rappresentazione ed assunse in questo modo, il ruolo da primo personaggio e anche i meriti di questa innovazione. Nessuno, prima di lui (almeno così si accetta), aveva dato voce ad un personaggio di una storia raccontata. Di lì a poco, le narrazioni pubbliche assunsero un carattere diverso. Se prima le storie venivano narrate esclusivamente in terza persona, accompagnate da musica, poemi, danze, tipico dei cantastorie, si definì presto questo nuovo ruolo di Attore ovvero: colui che agisce e rappresenta. In suo onore gli attori che seguirono vennero chiamati Tespiani e per antonomasia venne coniato il detto “salire sul carro di Tespi” come per indicare l’avvio ad una carriera attoriale.
Rapidamente gli successe Eschilo a cui si deve l’introduzione del secondo attore, o come direbbero fieramente i classicisti: Il deuteragonista. Questo diede opportunità di confronto in scena tra i due personaggi e quindi un dialogo. A Sofocle invece, si deve l’aggiunta del terzo attore (tritagonista per i più tradizionalisti). Soltanto in qualche occasione sporadica, si attesta la comparsa di un quarto attore nelle scene greche. Ecco quindi, che già dal mondo ellenico questa figura assunse una posizione di valida importanza, e come ogni società funzionante, tutti gli attori, universalmente, venivano retribuiti abbondantemente dallo Stato, ricevendo grandi onorificenze e riconoscimenti per la loro espressione artistica che elargivano. Su quest’ultimo punto però, la nostra società dimentica di prender esempio dagli antenati.
Proseguendo con la storia, arriviamo nell’antica Roma, dove il teatro assunse un carattere assai più ludico. Durante le rappresentazioni il pubblico latino testimoniava esplicitamente il proprio gradimento o scontento per quanto assistito.
Sprofondando velocemente nel Medioevo, l’attore divenne inaspettatamente sacerdote, così come ambiva esserlo un commerciante, un artigiano, un ambizioso, un furbo ed un ateo. Tutto in quel tempo cercava riparo in un mondo mascherato di sacro. Naturalmente la maggior parte dei drammi rappresentati erano a stampo cristiano, basati sulle liturgie e sui testi sacri per nulla compromessi.
Intorno alla metà del Cinquecento, l’attore fu rinnovato dalla Commedia dell’Arte, stile teatrale nato in Italia, che si diffuse con grande successo in tutta Europa fino alla fine del Settecento. L’aspetto più noto di questo teatro risiede nell’improvvisazione attoriale e nei “tipi fissi”, ovvero personaggi sempre uguali che compaiono ad ogni rappresentazione, permettendo così all’attore di lavorare e migliorarsi nell’immedesimazione dello stesso ruolo. Altra innovazione fu quella commerciale. Gli spettacoli erano destinati ad un pubblico pagante che quindi, riconosceva una professionalizzazione di questa teatralità. Per molti studenti sarà difficile scordare che questi furono gli anni dell’amatissimo Carlo Goldoni.
A seguire, nell’Ottocento, epoca illuminista, l’attore divenne responsabile dell’atto di trasferire cultura ed occasione di apprendimento per il suo pubblico, sposando così quel fenomeno esteriore che molti politici contemporanei abbracciano, ovvero quello del Grande Attore. Un idolo riconosciuto ed ammirato da tutti.
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Se per molti, ad oggi, il divismo è in crescita ostinata e continua, e rischia di invadere ogni campo, nei primi del Novecento, questo status venne diversificato, confluendo di più nel cinema. L’attore di teatro, ormai più alleggerito da questa pressione sociale che lo riguardava negli anni precedenti, trova il tempo dunque, per studiare i suoi personaggi andando a ricercare un’ autentica introspezione di sé. Sono gli anni della riscoperta del ruolo dell’attore, un’artista consapevole del suo corpo e quindi della sua gestualità, della sua voce e dell’intenzione che vuole far arrivare al suo pubblico attraverso la sua interpretazione. Stanislavskij, Mejerchol’d, Copeau, Beckett, Ionesco, Ibsen, Pirandello, De Filippo, Bene, Strehler, Grotowski sono solo alcuni dei celebri nomi che hanno reso il teatro contemporaneo una dimensione profonda nella quale immergersi e aver occasione di percepire la realtà circostante e noi stessi.
Guardare ad un’evoluzione delle cose fa acquisire maggior sensibilità nei confronti del nostro presente. Per una strana abitudine etica, culturale, si tende sempre a guardare al passato più distante e considerare unicamente quello come una sorta di istituzione intoccabile. Personalmente, credo che sia meglio trovare un equilibrio più ravvicinato, attingere ad un passato più recente perché più facilmente comprensibile (limitatamente a certi contesti). Il Novecento ci ha donato degli attori, degli artisti qualificati come dei giganti nel panorama teatrale. Loro, prima di noi ma dopo i loro precettori, hanno elaborato una saggezza che profuma di esperienza e profondità. Personaggi come i sopra citati, continuano ad avere una capacità inaudita di insegnarci e farci riflettere su temi e situazioni, ancora adesso.
In una realtà come la nostra, dove si scalpita per ricoprire tutti il ruolo da primo attore, mi sembra più opportuno tornare sui propri passi per ridimensionare il proprio ego e lavorare, proprio come facevano i grandi del Novecento, alla costruzione di una nostra consapevolezza, di una nostra integrità.
Sono pochi gli attori che nel nuovo millennio si dedicano a questa ricerca personale. Si ha l’impressione che la maggior parte protenda a riflettere gli atteggiamenti attoriali delle epoche più remote, brevemente descritte in questo articolo.
Di recente, ho ascoltato le parole di un mirabile attore il quale mi ha riportato ciò che nel tempo ha imparato: Bisogna imparare dai grandi, rubare da essi, solo così si cresce. Loro son passati da questo mondo per questo. Per me lui è uno di questi. E su quest’ultima riflessione, direi che non occorre voltarsi tanto indietro per vincere occasioni di profondo accrescimento. Basterebbe predisporsi un po’ di più verso un umile apprendimento che alla chiusura ad un confronto e prima o poi, tutti possono esser in grado di lasciar qualcosa di bello in questo palcoscenico della vita prima che le tende si chiudano. Proprio come è in grado di fare un grande attore.
Gaia Courrier.