NICOLA FORNARCIARI L’isola delle correnti – Seconda Parte

Potrete trovare – L’ISOLA DELLE CORRENTI di Nicola Fornaciari (Prima parte), cliccando QUI

I racconti di Nicola Fornaciari ci terranno compagnia per tutta la stagione dell’Argante. Saranno divisi in diverse parti e alla fine di ogni racconto\episodio o parte. Potrete trovare il link di riferimento per iniziare, concludere o scegliere la vostra lettura. 


Quanto segue è il rituale di chi esegue automaticamente azioni ripetute n-volte senza mai perdere la sacralità del gesto. Come il pastore spezza l’ostia, lui taglia la mia fetta di anguria: con navigata solennità, con una consapevolezza posata che sembra giungere da un altro livello di coscienza – lo sguardo serafico di chi ha trovato la pace. Quando mi porge il piatto, davvero mi sento d’aver ricevuto una sorta di iniziazione, come se nel rosso di quell’anguria si concentrasse l’universo intero, il senso stesso dell’esistenza, il segreto per toccare una volta per tutte quella pace che invano da sempre vado cercando.

“Rui euru, grazie”

“Due euro, grazie”

Tre semplici parole ed il mio volo mistico in un istante precipita a terra, riportandomi nella quotidiana visione di una fetta di anguria ed al suo valore pesato in euro. Pago – Grazie – Grazie a lei – mi siedo – inizio a mangiare la mia fetta d’anguria fresca da 2 euro. Lui si aggira nel suo habitat con disinvoltura. Io mangio.

Osservo: addosso ha due ciabatte consumate ed un paio di pantaloncini rossi. Sopra di questi una di quelle pance evidenti, pronunciate, compatte, tutte d’un pezzo, simili in forma e consistenza alle angurie che vende. Non è né grasso né magro. Direi solido. Ben radicato. Il volto è attraversato da solchi testimoni di una giovinezza che non c’è più. Lo sguardo è deciso e sereno al contempo. La barba è quella di una settimana di incuria. Si siede al tavolo accanto al mio. Si accende una sigaretta.

Penso: se fossimo in uno di quei porti di un tempo, lui potrebbe essere il saggio, consumato, silente lupo di mare, scolpito nel corpo e nell’anima da mille avventure in mezzo agli oceani.

“Ma quest’isola delle correnti, com’è?”

“Uno schifo: non si può taliari”

“Uno schifo: non si può guardare”

Laconico e diretto, come un vero lupo di mare.

“Cioè?”

“A sfasciarru. Nun si ricanuscia. Ci luarru i culma prima, paria nu desertu, ma co mari i ravanzi ora è irriconoscibili. Ora ha spianarru. Aviena sfruttare, pi fari sordi. Vinnunu che ruspi e luarru i culma. Divietau na spiaggia liscia, unni ci stanu chiddi che tendi muntati e ci su macari i lettini e l’ombrelloni. Chistu tantu pi cuminciari. Ora puoi appiersu seiddu chi cumminunu. A stu puostu ca era tantu santu e binirittu ci farannu fari a fini i tutti l’autri posta.E cia dari chissu e turisti na botta i piecuri ca puoi pigghiari pi fissa.Turisti: na massa ubbidiente ri piecuri da tusari buoni buoni”

“L’hanno rovinata. Non è più la stessa. Spianata, l’ anno. Prima era tutte dune, pareva un deserto, ma col mare davanti. Poi dovevano sfruttarla per fare i soldi. E son venuti con le ruspe: via le dune. Una bella spiaggia liscia, dove ci possono stare quelli con le tende, un bel lido, lettini ed ombrelloni. E questo è solo l’inizio. Non si fermeranno. Hanno iniziato a rovinare questo luogo meraviglioso come hanno fatto per tanti altri: turisti, la massa ubbidiente delle pecore da tosare ben bene”

Altro che silente lupo di mare: ho tirato via il tappo, con la mia domanda. E sgorgano parole.

“Sa rubarru l’unni ri sabbia e canciarru a musica”

“Hanno rubato le mie onde di sabbia ed hanno cambiato la musica”

“La musica?”

“A ristasti? Pirchì tu a natura nunna mai sintutu sunari? Ca musica ni parra! A natura ca musica ni parra! E sa a sai sentiri a musica ti trasa nta carni, t’accarizza u cori.”

“Ti sorprendi? Non hai mai sentito la natura suonare? La sua musica è il suo modo di parlarci e, se sai ascoltare, la sua melodia ti attraversa la pelle, ti sfiora il cuore”.

Pensiero: chi può ancora riuscire a farlo? Può l’uomo dell’era smartphone uscire dall’ipnosi dei likes e dei tripadvisor per aprire il suo cuore ed ascoltare il canto della natura? -Durata del pensiero: 1,2 sec-

“Se ora tu ci vai unni prima a terra sunava musica, riniesci a sentiri sulu u sa’ lamientu. Ci rapierru u stomucu che ruspi e ci ficcarru i ri rintra i viermi. Turisti. Na massa i piecuri. Arriunu, paiunu, malarucati fanu na picca i burdellu e sinni vanu. E ma terra si lamenta. Nuddu ca a scuta.”

“Se ora vai lì, dove prima la terra suonava melodie, puoi sentire solo il gemito del suo lamento. Le hanno aperto la pancia con le ruspe e le hanno riempito lo stomaco di parassiti. Turisti. In massa. Come pecore. Rumorosi, irrispettosi, arrivano, pagano e se ne vanno. E la mia terra geme. E nessuno l’ascolta”

Cosa è la solitudine, se non uno stato interiore? Sono seduto accanto ad un estraneo, solo io e lui fino a dove arriva la mia vista, fuori dalle nostre parole solo il soffio del vento che alza la polvere, eppure.. eppure non mi sento solo come quando sono in mezzo alla gente nel frenetico correre di vite senza vita. Qui, dove tutto si rallenta, provo la rara sensazione di sentirmi a casa. Sentirmi accolto. Come se il vecchio cocomeraio stesse dando voce ai miei pensieri e parola al mio sentire.

D’un tratto: s’arresta. Sembra sorpreso. Stupito.

“Stranu!”

“Strano!”

“Cosa?”

“E’ ferraustu e nun c’è nuddu. Ri solitu i piecuri a st’orariu inchiunu i locali. Ciu sai su ci sai ni venunu. Oggi però nun c’è nuddu, stranu!”

“E’ ferragosto e non c’è nessuno. Solitamente a questo’ora le pecore si assembrano e riempiono i locali. Più sono, più ne vengono. Eppure oggi non c’è nessuno. Strano”

“Forse dovevamo ritrovarci io e te da soli, oggi.”

“Fuorsi”…“Nun ci vaiu chiu, u sai?”

“Nta l’isola. Nun cia riniesciu chiu a sintilla lamintari i sa manera. Ma scippa u cori. A fini iu stissu a trariì. U malu ca sa sta manciannu arricchiu macari a mia. I turisti purtarru sordi macari a mia. E iu nun fici nenti pi salvarla. Ma stagghiu muriennu macari iu pi chistu.”

“Forse”…“Non ci vado più, sai?”

“All’isola. Non riesco. Non riesco più a sostenere il suo grido di dolore. Mi divora l’anima. Alla fine anche io l’ho tradita. Non sono migliore di tutti gli altri. Il cancro che la sta divorando ha arricchito anche il mio portafoglio. I turisti hanno portato soldi anche a me. Ed io non ho fatto nulla per salvarla. Ho taciuto. Ho fatto i miei affari, come tutti gli altri”

Tu che leggi, visualizza questa immagine: l’ultima foglia gialla di un albero in autunno. Oscilla, si stacca, slalomeggia nell’aria e si posa in terra. E nel mentre davanti ai tuoi occhi accade tutto questo, leggi le parole che seguono come voci fuori campo.

“Ma nunn’ avia caputu ca lassanu morri a ridda muria iu stissu. Mi manca picca”

“Ma non avevo capito che lasciando morire lei, stavo uccidendo me stesso. Mi manca poco, ormai”

“Sul serio?”

“Malu incurabile. Caru miu. ma minni vaiu serenu ro munnu ca nun ma appartena chiu.”

“Cancro, caro mio. Incurabile. Ma sono sereno. Me ne vado da un mondo che non mi appartiene più”

. . . 

. . .

Vento in faccia. Torna a scorrere la Sicilia tutto’attorno a me, rotolando sotto le ruote del mio fedele destriero, mentre mi allontano dal chiosco .. e, dentro, quella strana sensazione.. come se nella morte di quell’uomo e nella morte di quella terra, fosse morta una parte di me.

E di nuovo mi sento

                                                           irrimediabilmente

      solo.

Nicola Fornaciari

 

 

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