Ci sono canzoni che ti accompagnano per tutta una vita, generazioni che vivono in sincrono con la carriera di uno o più artisti. Da un titolo, due parole e mezzo, viene fuori una cartolina che in realtà è un fermo immagine messo lì, in pausa, sempre pronto a ripartire per poter scorrere alcune prospettive scolpite e salvate in memoria, riposte in cassetti che non ricordiamo più nemmeno di avere… eppure sono lì.
Per scrivere una qualsiasi cosa, bisogna partire da un suono, un colore, una musica, un profumo\odore e in questa mattinata di fine luglio ’24, mi basta un rumore di cicale, dove di solito non le sento cantare per farmi aprire l’album dei ricordi e iniziare, quasi inconsapevolmente a canticchiare…“Ho lasciato scappar via l’amore, l’ho incontrato dopo poche ore…”
Era il 1998, in pratica 26 anni fa, io avevo 10 anni, l’Italia giocava con una delle formazioni più forti di sempre i mondiali di Francia ’98, eliminati ai quarti proprio dai padroni di casa che poi quel mondiale lo vinceranno, quasi a cadenza settimana davano in tv il Festivalbar, se siete nati nei primi anni 2000 o nel 2007\2008 e state per qualche ragione leggendo quest’articolo, mi dispiace per voi, non saprete mai cosa vuol dire aspettare di vedere il Festivalbar; provate ad immagine un mondo dove la musica è solo nelle radio, nelle cassette più o meno legali. I CD, per esempio, per me erano un miraggio, viaggiano sui sedili posteriori di una Tipo (fiat) grigio chiara, ascoltavo senza soluzione di continuità Lucio Battisti (per fortuna), i Pooh (è una scelta che da grande non rifarei), Marco Masini e gente che non ho mai più ascoltato. I miei confini musicali si fermavano là dove i miei genitori decidevano di spingersi, preferivo il pezzo cantato allo strumentale (lo capivo meno eppure oggi è quasi il contrario), ma ogni tragitto poteva comodamente iniziare con delle cicale che cantavano in lontananza era la Sicilia di fine secolo e quel suono ora l’ho un po’ perso, vivo in Toscana e sono sicuro che ci sarà chi si sveglia con una cicala che “frinisce” tutto il santo giorno (potevo scrivere canta, ma il termine giusto è frinire, questa è pur sempre una rivista culturale), ma qui dove abito io ai confini della città sotto un cartello che mi dice SCANDICCI, non le sento mai ed è per questo che conservo e non confondo i ricordi.
La verità è che se vivi in un paese di 25\28.000 mila anime, alla fine degli anni ’90 solo una cosa ti può veramente salvare la vita: le RADIO LOCALI, io poi ero già attratto da questo mondo e guardavo da fuori la sede della Radio come se fosse la sede RAI di Viale Mazzini (quella con il cavallo per intenderci), volevo farne parte, volevo stare dietro le quinte, immaginavo cosa potesse capitare all’interno, chi poteva esserci dietro quella voce che ci teneva compagnia era tutto più strano e più sano, si poteva anche diventare idoli locali; qualche anno dopo… sarà stato il 2009, ci sono entrato veramente in quella sede, nel frattempo le radio locali avevano perso d’importanza perché quelle nazionali, grazie ad una legge nazionale, avevano avuto il permesso di comprare le FREQUENZE e quindi se puoi ascoltare R(qualcosa) 100(qualcosa), cosa te ne fai della Radio locale? Ma posso dire di averne fatto parte, anche se pur sempre della fase discendente. Ho realizzato un piccolo sogno e quelli che erano lì, veterani dalla fine degli anni ’90, mi raccontavano che il telefono non finiva mai di squillare, specie in estate, con le scuole chiuse, che dovevano essere almeno in tre o in quattro, perché le richieste, i primi messaggi, le dediche, erano così tante da riempire quaderni interi e non poterle soddisfare tutte. La gente, tutta quanta, dalla nonna alla ragazza, dal marpione al manovale, ascoltava la stessa frequenza e si mandava messaggi, alcuni in codice, altri espliciti a suon di saluti e musica. Ma che mondo era?
Un altro mio problema, che allora non era un problema ma lo è diventato adesso è che io vivevo qui. Io vivevo in una sorta di paradiso incontaminato, chiamato Scicli, mentre la gente impazziva per assicurarsi un centimetro di spazio vitale, pagato oro, io vivevo in un posto che pre-Montalbano e pre-social, pre-turismo bulimico si filavano in pochi ed era il paradiso. Se volessimo poi tornare al titolo e al brano d’apertura, la domanda che imperversava nei bar, sui lungo-mare di tutte le località marittime di Scicli, in acqua, sulle terrazze era: ma chi la canta? Bah sono due uno si chiama Fabi, è quello della canzone dei capelli e l’altro? L’altro è un certo Gazzè? Come scusa? Si… si! Gazzè… lo so se non siete siciliani o ancor più sciclitani non potete capire, e allora vi spiego.
Gazzè è uno dei cognomi più conosciuti nel nostro paese: ma allora è uno dei nostri! Subito a gara a dire: io conosco il padre, io il nonno, io lo frequentavo da piccolo. Tutte fantasie più o meno veritiere eppure era vero. Massimiliano Gazzè in arte Max di padre sciclitano, con lo stesso cognome della persona più importante della nostra infanzia: l’uomo, il signore indiscusso dei gelati, colui che girava il paese (parente vero di Max), parlando al microfono e pronunciando la seguente frase: “Ca sugnu c’arrivai, cu sa cattari u gelatu” (traduco con il senso completo: Eccomi qua, sono arrivato! Avanti forza ditemi…chi vuole\deve comprare il gelato). Un gusto cono 1000 lire, 2 due gusti 1500 lire. Ma che vita era?
Si questo è un articolo di fine estate, è un articolo da leggere mentre si ascolta, per rievocare la vostra\nostra fine anni ’90, io avrò avuto 10 anni, ma credevo di aver lasciato scappar via l’amore, in media ogni mezza giornata e di ritrovarla ovviamente dopo poche ore. Per non parlare del suono del suo nome… a come cambia in base alle persone, il nome di chi? Ma non ne ho idea, era estate, ero in Sicilia e avevo 10 anni, non so se mi innamoravo del concetto di base o di tutto quello che scoprivano i miei occhi.
Ecco per esempio le cicale non cantano più, fine del flashback. 26 anni dopo, a pensarci è una gran fortuna, io e mia moglie tutti e due appassionati di questa musica, tutti e due vissuti nella generazione di cui vi parlavo all’inizio del pezzo eravamo al Circo Massimo a vedere i tre nel video che avete appena scorso, al centro lo “sciclitano Gazzè”, un sorprendente ed emozionante Fabi ci ha tolto il dubbio sull’idea che in realtà stiamo invecchiando e non riusciamo più ad assimilare musica nuova. Un concerto meraviglioso, Silvestri è per noi due il punto di congiunzione estremo visto che l’abbiamo ascoltato e lo ascoltiamo ancora insieme.
Il fatto è che la vita è questa: un suono di cicale in lontananza e una canzone in testa, non possiamo sapere quale sarà l’ultima volta che vedremo un concerto simile o che avremo la disponibilità di quel mare in foto ora lontano e quasi inaccessibile fra lavoro, impegni etc… per cui in questo mondo che genera individui ad alto consumo, l’essenza del ricordo sta proprio nell’opposto. E questa è l’estate giusta per ricordare, poiché a lunghi tratti, ricorda quelle temperature, quel vento leggero, quelle sensazioni che mentre le stavamo vivendo sembravano banale routine. Buon’estate dalla nostra redazione e buona musica. Ci rivediamo (e rileggiamo) a settembre.
Marco Giavatto.