L’Argante 137 || Buio! Non è “mancanza”, ma “presenza”.

Le fiction TV imbrogliano! (A volte). Mi spiego. Guardare Don Matteo – finché era interpretato da Terence Hill ovviamente, poi per me avrebbero potuto chiudere tutto – sfrecciare in bicicletta tra i vicoli trasmette la sensazione che Spoleto sia una meravigliosa cittadina, emblema storico-culturale del nostro paese (non dimentichiamoci dell’omonimo Ducato di cui diventò splendente capitale!) e soprattutto a misura di bicicletta. No! Spoleto è tutta una salita!

Le scene in bicicletta di quel prete sono girate tutte in discesa! A questo punto dovrebbe subentrare, in maniera perfetta, un ragionamento filosofico, anzi il ragionamento con una logica, quella del karma: secondo cui dopo una salita c’è sempre una discesa: e queste due prima o poi finiranno per compensarsi! Si, quindi in questo caso per fare tutte queste discese, dovrebbero esserci anche delle scene di salite o no!? Qualche tempo fa, perciò ho deciso di sperimentarlo con le mie gambe, durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto. Era tutto sold-out naturalmente, l’unico evento con ancora qualche disponibilità era il concerto di Imany al secolo Nadia Mladjao.

 

Per la sua performace musicale è stata praticamente spenta tutta l’illuminazione pubblica di Piazza del Duomo per agevolare la scenografia fatta di architetture LED.

Proprio mentre la ascoltavo ho iniziato a pensare al BUIO e al suo ruolo nell’arte e nell’intrattenimento, quindi nell’effimero.

Vocazione di San Matteo – Caravaggio

Un esempio, Caravaggio, nella Vocazione di San Matteo si concentra sulla luce che fa emergere i personaggi ed i dettagli ma non sulle tenebre che nascondono, che celano, che creano quell’affascinante mistero. (Nemmeno Vittorio Sgarbi lo spiegherebbe meglio!). E così, anche in Teatro, il buio assume tutto un altro significato. A pensarci, così di primo acchito, potrebbe rappresentare un elemento di stacco, di disturbo: perché interrompere una storia con questo buio?! Tutte le rappresentazioni teatrali, anzi diciamo la stragrande maggioranza, non iniziano forse spegnendo le luci di sala, per permettere a tutti di calarsi in quella realtà, in quel caso la mancanza di luce non è un azione di disturbo, ma un segnale di apertura ad un nuovo mondo, che durerà al massimo un paio d’ore.

 

Diventa parte della storia, serve a immergere il pubblico nelle atmosfere, crea attesa e attimo di raccoglimento.

Non è interruzione quando lo troviamo all’improvviso nella narrazione teatrale, ma è un respiro.

È il momento in cui si smette di pensare a tutto quello che è successo fino a un millisecondo prima di questo reset catartico. Riflettiamoci un attimo…

Buio in tv, ovvero schermo nero per più di 3 secondi…

Non è respiro ma si trasforma in: questa è tutta colpa di questi switch del digitale terreste! Oppure in:

Ecco fatto, s’è rotto! Adesso mi tocca andare da Media World e ricomprarlo! Nel buio della sala succedono cose, movimenti, spostamenti, suoni, suggestioni, che grazie all’ immaginazione catapultano altrove. Un battito di ciglia che ci trasporta in un altro luogo, in un’altra dimensione o epoca storica. Il pubblico è complice del buio, si lascia ammaliare da esso, ci si immerge completamente, spiritualmente molto spesso.

Black studio room background. 

 

Registicamente dà il ritmo a tutta la storia, scandisce il tempo, supporta l’azione: tanti piccoli momenti di buio messi nel punto giusto possono enfatizzare una situazione cadenzata, di trambusto, spesso addirittura riescono a supportare momenti comici.

Con la mancanza di luce si può giocare anche con il tempo cronologico. Non so voi, ma io a teatro quasi sempre dopo il racconto di una storia che in due ore attraversa anni – in cui anche i protagonisti, grazie al trucco facciale, possono invecchiare in scena – per un attimo ho la sensazione che sia trascorso effettivamente quel lungo lasso di tempo. È pura magia… Anche la penombra con un filo di luce è assimilabile al buio: e in questi casi, sul palco, avvengono tradimenti, delitti, si confessano i segreti più indicibili ed ognuno seduto in poltrona – o sedia, a seconda del lusso di quel determinato teatro – riflette sui suoi segreti e quasi quasi è spinto a confessarli cosi, davanti a tutti, nel buio, alzandosi dalla poltrona – o sedia – come fosse anche lui parte della rappresentazione a cui sta assistendo…anzi, che sta vivendo, avvolto in quel buio cosi presente. E così buio non è mancanza, ma presenza.

 

Marco Bernardini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.