Opera è spettatore in continuo movimento.
Mi ritrovo in aperta campagna, su una sdraio, a guardare il sole tramontare, coperto da una trapunta in piume d’oca, sorseggiando una cedrata… una cedrata Tassoni per la precisione: che è, obiettivamente, l’unica cedrata che non sa di chimico e moderatamente zuccherata rispetto a tutte le altre.
Mentre sono qui, a guardare il giorno che lentamente muore (non so da chi sto rubando questa espressione, ma m’è venuta così), mi viene da pensare a due cose: la prima è che devo riattaccare il cappuccio alla giacca perché effettivamente ancora fa freddino; la seconda è la visita al “Museo delle Illusioni” di qualche mese fa, a Firenze.
Un’ esperienza interessante in questo percorso espositivo immersivo, molto immersivo, per lo spettatore che deve muoversi, o muovere aggeggi, per creare queste illusioni diventandone protagonista. È allora penso pure a come si sia evoluto il concetto di arte. Si è partiti da un atteggiamento di “contemplazione” dell’ opera da parte dello spettatore che stava lì, di fronte ad essa, fermo, nel silenzio della penombra della sala (anche per molti minuti), a volte in estasi contemplativa, altre volte come Alberto Sordi e Anna Longhi nell’episodio “Le Vacanze Intelligenti” del film “Dove vai in vacanza?”, per coglierne tutti i particolari e le sfumature… tra etichette, con titoli e date, e pannelli fitti, fitti di testi esplicativi.
Ammetto che anche io non amo particolarmente questi testi disseminati ovunque e, infatti, nel 98% dei casi adotto nei loro confronti il mood dantesco “non ti curar di loro ma guarda e passa”. Forse non sono l’unico a nutrire questi dissapori nei loro confronti: si è assistito a un graduale cambiamento, con una comunicazione diversa delle informazioni, che ha reso il tutto più coinvolgente attraverso proiezioni, musiche, effetti sonori ed atmosfere…dinamismo contrapposto alla staticità dell’altra modalità di esclusiva contemplazione.
In questo modo anche il racconto si presta a dare piú informazioni, anche curiosità minori che riguardano l’artista o il periodo storico che messe su un pannello potrebbero destare, invece, esclusivamente noia. Ma se riprendo a pensare a questo “Museo delle Illusioni” mi accorgo che, forse c’è un ulteriore step di questa evoluzione museografica: non solo il pubblico deve essere immerso ma, per certi versi, deve diventare esso stesso l’opera d’arte… un Voyeurismo artistico. Legato anche, inutile negarlo, a questa epoca dei social e del mettere in vetrina se stessi.
Le “diavolerie” (in senso buono eh, per carità! ) contenute in questo spazio sono inutili senza un fruitore che le vive e dà loro senso di esistere. Una grande rivoluzione, potrebbe sembrare, ma a questo punto mi fermo e dico “e allora l’arte Medievale e Rinascimentale?… non serviva a rappresentare scene bibliche con la missione, didascalica, di rendere partecipe il popolo analfabeta dei fatti raccontati nel Libro Sacro?” Non è forse la stessa cosa?! Io ricordo che a scuola gli insegnanti ci portavano in gita nei musei a vedere una mostra dopo aver studiato il periodo storico e l’artista esposto. Non è che leggere i pannelli, le targhette vicino le opere o documentarsi (o ancor di più studiare) sia diventato difficile, pesante, inutile e quindi è meglio spettacolarizzare questa componente importante dell’ esperienza?! In fondo le prime esposizioni di opere erano le collezioni private di nobili che avevano il lusso, dato dal loro alto rango, di essere attorniato da letterati, scienziati, studiosi, filosofi ed artisti assorbendone le conoscenze.
Non è che ci stiamo disabituando alla conoscenza!? Non è che si sta estremizzando troppo questa mania di protagonismo, di apparire, di “elevarsi ad opera d’arte” ma poi esserne soltanto succubi inconsapevoli come in una sorta di “The Truman Show”?! … No dai, non può essere così: è solo una fase dell’arte, questa fase dell’arte, è solo un momento…. Quanto può durare un momento?
Marco Bernardini