Secondo la Commissione regionale per il patrimonio culturale della Lombardia, non rimane quasi più nulla dell’impianto iniziale del 1925. Le nuove ristrutturazioni negli anni ’50 e ’90 lo hanno reso troppo “nuovo” per avere la tutela per gli edifici costruiti da più di 70 anni. San Siro dunque può essere abbattuto, «non ha interesse culturale», vi spieghiamo perchè non siamo d’accordo.
La storia del leggendario Giuseppe Meazza in San Siro ha il sapore di una favola inventata su due piedi dal nonno, inizialmente per indurre il nipotino al sonno, ma che poi finisce per provocare esattamente l’effetto opposto: una storia fatta di protagonisti caricaturali, colpi di scena, e avvenimenti straordinari di cui l’impianto è stato teatro nei suoi quasi cento anni di vita. Più di un aneddoto storico legato a questo tempio, o meglio a questa scala del calcio, sembra infatti ribaltare ciò che il senso comune, in particolare quello di fede calcistica, sembrerebbe credere, in maniera cristallizzata, da sempre. Come pertiene a ogni favola degna di questo nome, iniziamo dal “c’era una volta”…
I lavori di costruzione del nuovo impianto cominciarono nell’agosto del ’25 sotto la direzione dell’ingegnere Alberto Cugini e soprattutto di Ulisse Stacchini, un architetto fiorentino noto nella Milano a cavallo fra le due guerre, cui avrebbe anche donato la progettazione della stazione centrale, con la sua galleria coperta. La cifra artistica di Stacchini si richiamava al gusto del liberty mittel-europeo con cui aveva già adornato alcune aree residenziali della città. Si era lontani, tuttavia, dalla maestosità attuale dello stadio, sebbene l’aspetto già ricordasse un gusto che sarebbe poi stato definito all’inglese: quattro gradinate indipendenti di diverse altezze, con la sola tribuna centrale dotata di una copertura in ferro, fecero sì che i lavori durassero ‘soltanto’ tredici mesi. Il nuovo impianto venne inaugurato il 19 settembre del 1926, e per l’occasione, neanche ci fosse il bisogno di specificarlo, venne disputata la stracittadina che ancora oggi si agita all’ombra della Madonnina, un Milan-Inter terminato per sei reti a tre a favore dei corsari nerazzurri. Ebbene sì, il nuovo impianto fu voluto e pensato per ospitare le gare casalinghe dei rossoneri, e sarebbe stato condiviso con gli odiati cugini solo a partire dal secondo dopoguerra.
Questa favola è piena di colpi di scena e fatti insospettabili. Artefice e benefattore dello stadio San Siro, il cui nome si deve all’ormai pressocché invisibile chiesa di San Siro alla Vepra, fu l’allora presidente del Milan Piero Pirelli, figlio di Giovan Battista, fondatore dell’azienda produttrice di pneumatici. La stessa azienda che sarebbe poi divenuta lo storico e iconico sponsor tecnico dell’Inter, grazie all’ingresso dal 1991 dell’imprenditore di fede interista Marco Tronchetti Provera. Una prima ristrutturazione con conseguente ampliamento si ebbe alla fine degli anni ’30 e non solo per il seguito che le compagini milanesi continuavano ad accrescere, ma soprattutto perché nel frattempo la proprietà era passata in mano al comune di Milano (1935), interessata a sfruttarne il più possibile gli spazi. Grazie al lavoro dell’architetto Perlasca si procedette così alla costruzione degli angoli ricurvi di raccordo capaci di riunire in una sola struttura le gradinate laterali e le tribune ingrandite. La forma a “catino” che ne sarebbe venuta fuori, avrebbe contribuito a plasmare l’immagine stilistica odierna. Questi lavori di “ammodernamento” consentirono inoltre all’impianto di raggiungere un record che avrebbe detenuto fino al 1950: con una capienza di 65mila posti lo stadio San Siro è stato, al tempo, il più grande del mondo.
Dal 1947 San Siro iniziò a ospitare pure le partite casalinghe dell’Inter, sino a quel momento accasata alla più urbana e – ammettiamolo – “bauscia” Arena Civica. Il calcio italiano del dopoguerra raggiunse picchi di popolarità mai visti prima di allora. Si rese così necessaria una nuova opera di ristrutturazione, che rendesse l’impianto di nuovo in linea con i tempi e soprattutto con le ambizioni sportive delle due compagini milanesi. Allora come oggi si aprì l’irto dibattito: ristrutturare San Siro o costruire un nuovo stadio? Per onor del vero, venne presa in considerazione una terza via, quella di spostarsi all’Arena Civica in centro città, opzione peraltro maggiormente caldeggiata dalle due società sportive. Allora, a differenza (così pare) di oggi, prevalse la scelta della conservazione: nel 1955 il progetto venne affidato all’architetto Ronca e venne portato a termine in meno di due anni: più del secondo anello di gradinata, di grandiosa innovazione fu il fascio di rampe elicoidali avvolgenti la struttura. Questa sarebbe stata la forma dello stadio fino alla fine degli anni Ottanta, lo stesso che avrebbe avvolto le giocate di Rivera e Mazzola, lo stesso che nel 1980 sarebbe stato intitolato a Giuseppe Meazza, gloria dello sport Milanese, lo stesso in cui si sarebbe sentita riecheggiare la celebre strofa della Grande Inter: Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarnieri, Picchi, Jair Mazzola, Peirò, Suarez, Corso… Lo Stadio Giuseppe Meazza, con la sua modernità e bellezza metallica divenne lo specchio di una Milano lanciata dal boom economico del secondo dopoguerra.
I campionati del Mondo del 1990, di cui l’Italia fu paese ospitante, presentarono l’occasione dell’ennesima ristrutturazione di un impianto che non pareva saper fare a meno di correre al passo dei tempi, e forse persino di anticiparli. Gli architetti Ragazzi e Hoffer misero le mani su di un gioiello e ne restituirono un pezzo unico da collezione. Ci sarebbe stato solo un modo per ottenere un tale risultato: intervenire nel rispetto e nell’evoluzione dell’esistente. Tra gli interventi più significativi si annoverano le undici torri cilindriche a rampa elicoidale che abbracciano lo stadio. Non sarei davvero in grado di decidere se provochi un maggiore effetto ammirarle via via con l’approssimarsi all’impianto oppure osservarle mentre fiumane di persone, terminata la partita, le discendono secondo un ipnotizzante effetto tapis roulant.
Le torri servivano da unico supporto al nuovo monumentale terzo anello, che, sviluppandosi su tre lati dello stadio, venne costruito secondo una pendenza di 37 gradi, pressocché senza paragoni in Europa. Il Meazza divenne a tutti gli effetti uno degli stadi più incredibili del mondo. Niente è cambiato da allora. grazie alla sua capacità di creare un impatto visivo interno tanto opprimente quanto emozionante sia per il pubblico che per i calciatori, al punto da far coniare la definizione “non tutti hanno la personalità per giocare davanti al pubblico di San Siro”. Ancora oggi è possibile ammirarne le fattezze, e riconoscerne gli strati architettonici che ne scandiscono la storia. Per riportare le parole di Roberto Beccantini:
“Ecco: San Siro in Milano è una scheggia di storia d’Italia, e non solo di calcio, un’arena inglese nel senso ludico e filosofico del termine, un inno all’architettura della sostanza (e non della forma)”.
Ruggero Roni
Bell’articolo complimenti. Peccato che Milano sia rossonera !!