Facciamo un rapido riepilogo… se vi siete persi le prime due parti ecco i due link per recuperarle…
La prima parte – un ricettacolo di onirismo
La seconda parte – puro fascino
Ora che siete rimessi in pari… ma anche no, possiamo cominciare: il noir intesse i propri “sogni a occhi aperti” già sul piano dell’intreccio, allestendo una «particolare ragnatela degli eventi» di solito imperniata su una «situazione angosciante, che riguarda perlopiù un delitto, di cui il soggetto […] può essere accusato, o si attribuisce la colpa, o, ancora, è chiamato a trovare il colpevole»; ma il generale può evolvere anche nel particolare, con la sottile disseminazione di una «serie di condizioni e di tratti, riferiti alla sfera psichica, che […] vengono a interessare aspetti di tipo enunciativo e narrativo» (la posizione dei plot twist nell’economia drammaturgica complessiva, la bruschezza di certe svolte nella trama, eccetera). Poi, naturalmente, la costruzione onirica è proseguita (e approfondita) dalla specificità della mise en scène, che è ripartibile in tre diverse categorie di segnali.
In primo luogo, ci si può riferire a tutte le evenienze testuali – verbali, figurative o sonore che siano – riferite al sonno e al torpore. Ad esempio, un leit motiv incontestabile di tutto il cinema noir hollywoodiano degli anni Quaranta è la messa in scena di personaggi (non sempre protagonisti) «ritratti nell’atto di svegliarsi o addormentarsi, magari nei luoghi meno adatti e nelle situazioni più inopportune», oppure in preda a preoccupanti amnesie o a uno stato di evidente sonnolenza; il che, in termini diegetici, non fa che acuire la continuità fra il (presunto) sonno e la (altrettanto presunta) veglia. Un esempio molto chiaro di questo espediente di racconto è lo squillo di telefono che sveglia di soprassalto il protagonista Sam Spade nel cuore della notte, nella parte iniziale de Il mistero del falco (1941) di John Huston (seconda riduzione per il cinema de Il falcone maltese di Hammett in seguito a quella del 1931 diretta da Roy Del Ruth). Un altro utilizzo notevole di questo tema è rintracciabile in Situazione pericolosa, firmato da Bruce Humberstone e sempre del 1941: il protagonista Frankie Christopher, sospettato per l’omicidio di una ragazza e braccato dal poliziotto Ed Cornell, si rifugia per ben due volte (assieme alla sorella della vittima) all’interno di una sala cinematografica in cui sono visibili ulteriori spettatori che però, anziché guardare il film proiettato, dormono beatamente. In chiave significante, considerando anche il fatto che la vittima uccisa era proprio – fatalmente – un’attrice di cinema, è come se venisse «sancita una precisa correlazione fra l’immagine cinematografica […] e le dinamiche del sonno e del sogno/incubo», trasformando il discorso sull’onirismo in una brillante riflessione teorica sul genere stesso e sul mezzo stesso.
Infine, un diverso impiego del motivo del torpore lo si ritrova in Lo sconosciuto del terzo piano di Boris Ingster (datato 1940), dove funziona addirittura da efficace strumento di critica sociale, per mettere a nudo, in questo caso, le allarmanti «inadempienze della giustizia», visto che «coloro che rappresentano l’autorità non riescono, letteralmente, a tenere gli occhi aperti» e a svolgere correttamente le proprie mansioni di sicurezza.
Un secondo livello di significati è dato dal possibile ricorso alla voce fuori campo di un personaggio mentre intanto è inquadrato in primo piano, per suggerire la «dissociazione fra un corpo muto […] e un pensiero attivo» e dare traccia del suo squilibrio. È un espediente che si ritrova in parecchi noir dell’epoca e che gioca sul contrasto tra immagine (corpo) e suono (voce).
Infine, nell’ultima categoria rientrano tutte le apparizioni repentine di un qualche personaggio (solitamente femminile, ma non è detto: vedasi il già citato Lo sconosciuto del terzo piano, dove i sessi, in quel caso, risultano sapientemente invertiti) nel modo in cui costui (o costei) si palesa improvvisamente sulla scena, sovente appena dopo che il protagonista si è svegliato (e in questo si crea un legame con le istanze testuali del primo gruppo), nonché in seguito all’emergere – più o meno conscio – di un desiderio irrealizzabile o “proibito” da parte sua, come se in effetti la figura appena apparsa fosse una «materializzazione […] delle sue paure, dei suoi sogni», nonché l’«incarnazione di una realtà […] sfuggente e indecifrabile».
Ai vari elementi elencati, si possono aggiungere tutte le variegate peculiarità stilistiche che concorrono a tingere le immagini di una certa «qualità onirica e ipnotica», di un sentore di «inverosimiglianza e stranezza», determinate dalle prodezze di una macchina da presa che «sottolinea distorsioni e parzialità dello sguardo, sia nell’uso del grandangolo […], sia nelle violente inquadrature dal basso», ma anche da «movimenti di camera lunghi e sinuosi» e da «insistenti soggettive che culminano nell’estremismo». E poi da «ombre oblique» (in comune con l’espressionismo) o fuori scala (come quelle – gigantesche – proiettate dai protagonisti di Lo sconosciuto del terzo piano), luci spezzate o innaturali, simbologie attinenti al campo del perturbante (come quelle, numerosissime, che riguardano gli animali all’interno di La signora di Shanghai di Orson Welles, uscito nel 1947), «spazi distorti nella profondità di campo» e ambienti connotati da un livello di imprevedibilità che mai si era potuto osservare nel cinema narrativo precedente, nemmeno in quello europeo (vedasi, ad esempio, proprio il famoso finale di La signora di Shanghai, con la confusione spaziale dettata dai riflessi degli specchi in frantumi).
Infine, si segnala la tendenza a piazzare nel tessuto visivo «elementi bizzarri, vagamente incongrui», di cui è zeppo in misura particolare il capolavoro Il mistero del falco: si parte con la «collisione temporale» tra l’arcana leggenda introduttiva e l’ambientazione contemporanea, cui segue immediatamente il «ribaltamento spaziale» del nome dell’agenzia investigativa leggibile al contrario sulla vetrata e poi proiettato specularmente per terra dalla luce del sole che filtra dall’esterno, fino ad arrivare alla natura evanescente della statuetta tanto bramata dai personaggi.
Non mi resta che augurarvi un arrivederci… per la quarta e ultima parte di questo speciale assolutamente da non perdere.
Simone Trevisiol