Ormai ci siamo quasi dimenticati cosa significhi scrivere una lettera, una lettera vera, con carta e penna. Siamo così abituati ad essere costantemente in connessione, con messaggi brevi e dritti al punto, che la corrispondenza via posta è purtroppo un lontano ricordo. Anche le cartoline non vanno più di moda. La foto più sorprendente della vacanza l’hai già postata su Instagram…che senso ha spendere soldi per il francobollo che permetterà ai tuoi amici di ricevere un cartoncino dai colori sgargianti ed un’improbabile scritta glitter che recita “Bacioni da…”?
Eppure, il solo gesto di ritagliarsi del tempo per comunicare in maniera intenzionale e piena di significato con una persona cara, raccogliere le idee e cercare di dar loro forma coerente su carta è una piccola coccola, un rituale che regaliamo a noi e agli altri. E’ poi innegabile che alcune lettere siano una vera e propria forma d’arte: innanzitutto, conservano per sempre, anche se consumate dal tempo e dall’ingiallimento, la grafia del loro autore e, magari, per poco, anche un profumo familiare. Ma vi è molto di più: oltre ad essere un esempio di scrittura creativa, le lettere diventano testimonianza di un particolare momento storico, cristallizzano sentimenti, emozioni, paure, e sono espressione dei pensieri più intimi di chi le scrive, oltre che del suo modo di tradurre il proprio mondo interiore in parole. E’ proprio per questo motivo che possono diventare universali e parlare ad un “pubblico” ben più ampio del semplice destinatario della missiva.
Mail Art
Vi è un vero e proprio movimento, che ha avuto origine negli anni Sessanta, che ha fatto della corrispondenza una forma d’arte, con l’invio di piccolissime opere d’arte via posta. Invece di vendere i propri lavori attraverso i canali convenzionali, gli artisti spedivano cartoline riportanti disegni, collage, poesie o frammenti di giornale annotati, potendo così “esibire” le loro opere “a domicilio”, davanti a critici del mondo dell’arte, amici o, addirittura, sconosciuti. Se, alcuni decenni prima, Marcel Duchamp e i futuristi italiani avevano già sperimentato in questo senso, è stato Ray Johnson a dare il via – a fine anni Cinquanta – a quella che è stata poi rinominata The Correspondence School. Essa ha operato fino al 1973, anche se altri artisti hanno continuato anche successivamente ad utilizzare la mail art come mezzo di espressione, in quanto “democratico”, poco costoso e predisposto all’interazione e alla partecipazione del destinatario, che poteva diventare, volendo, a sua volta mittente di un una nuova opera d’arte. Ad esempio, negli anni Settanta, l’artista americana Amelia Etlinger scambiava con le sue amiche più strette poesie accompagnate da fiori secchi, nastri e scampoli di tessuto, opere d’arte da aprire e “gustare” con cura, in una celebrazione della solidarietà femminile e di un’utopica Rainbowland, un rifugio in cui non vi fossero tribolazioni di sorta.
In tempi molto più recenti, quando la pandemia ci ha costretti a casa e ha reso le interazioni personali (insieme all’accesso a luoghi d’arte, come i musei) molto più sporadiche e complicate, vi è stato un revival della mail art. Nel 2021, il Museo di Arte Moderna (MAMbo) di Bologna ha, infatti, ideato un progetto espositivo per corrispondenza dal titolo Dear You, il quale ha coinvolto sei artisti internazionali nella creazione di opere in forma di lettera, inviate con cadenza bisettimanale ai partecipanti all’iniziativa.
Le lettere illustrate
Possono essere considerate una forma d’arte anche le più “canoniche” lettere illustrate, con schizzi, disegni o altre espressioni grafiche, che rafforzano e amplificano il messaggio che si vuole inviare, accompagnando e arricchendo le “semplici” parole. Offrono, così, uno sguardo ancora più intimo e personale sulla personalità dell’autore, sulle sue modalità di espressione artistica (e non solo). Liza Kirwin ha selezionato per la Smithsonian Insitution alcune decine di lettere illustrate, facenti parte degli Archives of American Art, che possono essere gratuitamente consultate online. Vi è l’imbarazzo della scelta tra lettere d’amore, confronti artistici, scambi di idee, la lettera dell’artista dadaista George Grosz al suo amico e commerciante d’arte per promettergli di bere in sua compagnia più di un bicchiere di Hennessy (illustrati uno ad uno nella lettera), oppure le impronte del rossetto di Frida Kahlo che invia baci alla sua amica Emmy Lou Packard per ringraziarla di essersi presa cura di Diego Rivera durante la sua malattia. Insomma, un tuffo nella vita privata (e non) di molti personaggi più o meno famosi che ci regala uno scorcio sulla loro esistenza, sulla loro quotidianità e sui loro pensieri più immediati e profondi.
In maniera simile, il Van Gogh Museum ha messo a disposizione di tutti gli appassionati le lettere scritte dall’artista a suo fratello Theo, a Gauguin, Bernard e molti altri, in un sito che può essere liberamente consultato online e che ci permette di apprezzare la corrispondenza del grande pittore, rileggendo le sue parole, ma anche osservando i numerosi schizzi che costellano la trascrizione delle sue idee e le sue vivide ed emozionanti descrizioni di paesaggi e sensazioni.
La corrispondenza (sorprendente) degli autori famosi
Alcune lettere famosissime che ci piace ricordare, e che possono essere considerate a pieno titolo “letteratura”, sono le seguenti:
- “Do“, scritta negli anni Sessanta dall’artista americano Sol LeWitt alla scultrice Eva Hesse, per cercare di aiutarla a superare il blocco artistico che la attanagliava. E’ una lettera che tutti dovremmo leggere ogni mattina, appena svegli, perché darebbe la carica anche al più incallito procrastinatore del mondo. Un mantra, un invito all’azione, al gettarsi a capofitto nella vita, nella creazione, imparando a mandare a quel paese il resto del mondo, come è giusto che sia:
Learn to say “Fuck You” to the world once in a while. You have every right to. Just stop thinking, worrying, looking over your shoulder, wondering, doubting, fearing, hurting, hoping for some easy way out…
Stop it and just
DO
Assolutamente da vedere è l’interpretazione di queste parole realizzata da Andrew Scott in occasione del ciclo di incontri Letters Live, che vede alcuni tra gli attori più conosciuti nel panorama internazionale cimentarsi nella lettura di lettere famose in un’ “estensione dal vivo” del sito internet (e delle omonime pubblicazioni) Letters of Note, che ha l’obiettivo di raccogliere alcune delle corrispondenze più significative per renderle fruibili dal grande pubblico.
- le lettere di Ernest Hemingway a Marlene Dietrich, in cui emerge un lato più vulnerabile dello scrittore di quello che siamo abituati a conoscere;
- le lettere d’amore di Frida Kahlo al marito Diego Rivera:
La mia notte è senza luna. La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre. La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo. La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta. La mia notte mi precipita nella tua assenza.
- le Lettere a Milena di Franz Kafka, che ci rimandano un’immagine chiara delle sue elucubrazioni in merito ai suoi progetti da scrittore:
Io cerco sempre di comunicare qualcosa di non comunicabile, di spiegare qualcosa di inspiegabile, di parlare di ciò che ho nelle ossa e che soltanto in queste ossa può essere vissuto…
- la corrispondenza, di più di 5000 lettere, tra Georgia O’Keeffe ad Alfred Stieglitz;
- le lettere di Oscar Wilde a Lord Alfred Douglas;
- le sorprendenti ed oltraggiose lettere kinky e vietate ai minori inviate da James Joyce alla sua musa Nora…un’interessante lettura, solo per i più smaliziati, che ci fa tuttavia interrogare, alla fine di questa carrellata, su quanto sia opportuno, in quanto pubblico di lettori “estraneo” alle vite dei protagonisti, ficcare il naso in ciò che si supponeva dovesse rimanere privato. Un luogo intimo e nascosto in cui gli autori hanno riversato il loro cuore, aperto la loro mente e confessato pensieri che non avrebbero (forse) altrimenti espresso con altrettanta libertà, che ci fa arrossire almeno un po’, non tanto per la loro spudoratezza, quanto per la nostra sfrontatezza.
Silvia Bedessi