Finale e in finale.
È finito il caravanserraglio sanremese e si tirano le conclusioni. È stato il Sanremo dei record di ascolti ma anche di tante altre cose. Amadeus è stata una macchina da guerra come presentatore e ha retto egregiamente cinque serate lunghissime. Ma come direttore artistico, ha individuato le venticinque canzoni che rappresentano il meglio della situazione musicale italiana? Forse sì ma francamente speriamo di no.Perché, sì, le canzoni erano tutte carine, ma di livelli completamente differenti. Già dalla prima sera avevamo capito che Elisa e Mahmood e Blanco avrebbero vinto. E forse pure loro dal tiepido entusiasmo espresso alla loro proclamazione È mancata la gara.
La finalissima di Sanremo 2022 è stata vista da una media di 15 milioni e mezzo di spettatori nel solo prime time (13 e mezzo sul totale della serata). Con un picco assoluto attorno alle 22 e 30 di quasi 17 (quasi 17!) milioni di individui. Share da capogiro: 65%! È la finale del Festival più seguita dal 2005 per ascolto numerico, dal 2000 per ascolto percentuale: a questo punto, l’Ama quater è dietro l’angolo. Nel complesso, è stata l’edizione di maggior appeal dal 1997!
Ed ecco il “pagellone” targato Simone Trevisiol:
Ad Amadeus: voto 7
Se continuano ad essere fortemente opinabili (almeno sul fronte musicale, non certo su quello meramente commerciale) alcune sue scelte per i big, il conduttore fa ancora centro. Amabilmente spontaneo, a tratti ingenuo, a tratti artefatto, a tratti enfatico. Ama allestisce un Sanremo per tutti, come in effetti testimonia un podio finale capace di unire le generazioni.
Fiorello: voto 8
La comicità televisivamente più efficace è quella che attinge dalla realtà stringente. E la gag di Fiore sullo stalking da parte di Amadeus fa ridere proprio perché è cronaca deformata: lui davvero non voleva esserci. E infatti rimane solo per una sera, ma fa scintille: prepara un’entrata geniale alla “Matrix” versione COVID, scherza sugli AC/DC come solo un animatore turistico è in grado di fare.
Checco Zalone: voto 8
Sì, è vero: la favola calabrese con protagonista la trans brasiliana, che i commentatori social (esagerando) hanno bastonato a man bassa, può anche apparire controversa (nonostante il genio della storpiatura di Mia Martini). Ma Zalone si rifà immediatamente con due personaggi da ovazione: il rapper “poco ricco” e il cugino virologo di Al Bano, con annessi brani in tema. Per Checco solo applausi, perché di ridere con arguzia sul male che ci circonda abbiamo bisogno tutti.
Ornella Muti: voto 3
Insopportabilmente affrettata nei lanci dei cantanti, non riesce assolutamente (anzi, nemmeno ci prova) a uscire dallo stereotipo rigidissimo della valletta inutile e senza carisma. L’elenco dei “grandi” con cui ha lavorato colpisce come un boomerang (tra tanti giganti fa solo la figura della nana). E tralascia di citare Adriano Celentano per viscide ragioni di convenienza.
Lorena Cesarini: voto 2
Dopo il cliché della donna-soprammobile, viene quello – parimenti urticante – dell’ospite veicolo delle istanze di una minoranza discriminata. Il suo intervento “educativo” sul razzismo e sull’odio social, oltre a non affrontare il problema nemmeno di sguincio, è intriso di una retorica caramellosa da asilo nido. E anche di una gran faccia tosta, almeno a giudicare dalle precedenti dichiarazioni della diretta interessata.
Drusilla Foer: voto 8
Mirabile personaggio, quello creato da Gianluca Gori per i suoi spettacoli a teatro: una saggia nobildonna, vissuta e di mondo ma elegante e spiritosa. Più che un character un alter ego, una doppia identità. Ricchissima di spessore, peraltro. Il siparietto del travestito che si traveste è intelligente almeno quanto il discorso di chiusura sull’unicità. Frizzantissime le interazioni con Amadeus.
Maria Chiara Giannetta: voto 8
Il successo con “Blanca” se lo merita. Così come si merita di aver co-presentato una serata di Sanremo, con classe e vigore. E riesce a tingere di verità e di emozione la parentesi coi tutor ciechi che l’hanno “istruita” per la fiction. Lo sketch con Maurizio Lastrico è cabaret di altissima levatura.
Sabrina Ferilli: voto 9
Con il suo monologo contro i monologhi (e dunque, idealmente, anche contro le co-conduttrici “impegnate” che le hanno passato il testimone), non teme di mettersi di traverso rispetto all’odierna concezione di notorietà mediatica come servizio (o scotto da pagare). Prima di esistere in funzione dei simboli che tutti ci portiamo appresso (e che rischiano di soffocarci, come accaduto alla Cesarini), dovremmo imparare ad essere ciò che siamo. E da lì capire che battaglie fare.
Fabio Rovazzi e Orietta Berti: voto 6
Gli Harold e Maude de noantri sulla “Love Boat” extralusso: lui nipotino ingessato e perbenista, lei nonnina impertinente e ingestibile, il giovane vecchio e la vecchia giovane. La coppia, pur scialba e risaputa, funziona abbastanza, nonostante sia fin troppo sbilanciata sull’esuberante e brillante Orietta (che durante la finale irrompe all’Ariston e fa impallidire qualunque artista in gara), costretta a sopperire all’inesperienza scenica del partner.
Måneskin: voto 9
Da vincitori inaspettati a superospiti agognati: al di là dell’orgoglio per l’esportazione internazionale di talenti così adorabili e luminosi (che la fama non ha ancora avvelenato, per fortuna), la gioia di riascoltare la tonante delizia dell’arrangiamento orchestrale di Enrico Melozzi (quegli archi) e di ritrovare Damiano commosso per la grazia del destino (quante soddisfazioni e traguardi, in undici mesi) non ha prezzo.
Meduza: voto 6
Caso limite di “genietti” adorati all’estero e sconosciuti in patria. Ma non perché ignoti ai più, ma perché in pochissimi sapevano della loro italianità. E allora ci pensano Ama e il Festival a farla scoprire al grande pubblico. E fanno bene. Fermo restando, tuttavia, che la loro techno si addice al contesto sanremese come Silvio Berlusconi alla festa dell’Unità.
Laura Pausini: voto 4
Missione 1: promozione del nuovo singolo (peraltro già uscito: non era meglio presentarlo direttamente sul palco?). Missione 2: promozione del film autobiografico in uscita su Prime Video. Il singolo non conquista, ma il sospetto che il film sia in odore (o in olezzo) di agiografia è persino peggio. Fine della promozione, fine dell’ospitata. Erano migliori i tempi che ci rimembra il promo di Spotify con “La solitudine”.
Cesare Cremonini: voto 10
Il suo debutto al Festival si concretizza in una performance che sfiora la perfezione: si parte con un medley “fulmicotonico” delle sue hit, seguito a ruota da un nuovo singolo che è già pronto per far parte dei medley del futuro, assieme alla ragazza del titolo della canzone. E si chiude con l’Ariston che batte mani e piedi “sui colli bolognesi”.
Marco Mengoni: voto 10
“Mi fiderò” surclassa tutti i pezzi in gara. E risentire “L’essenziale” dopo quasi dieci anni, per nulla invecchiata e innalzata da un arrangiamento da pelle d’oca, è davvero commovente, specie per l’idea di legarla a un momento sugli hater con il rimbalzo del portentoso Filippo Scotti di “È stata la mano di Dio”. Allora vedi che gli autori televisivi, se ci si mettono, sanno fare il loro lavoro?
Matteo Berrettini: voto 5
Non voleva essere “sessualizzato”, ma qualcuno dovrebbe spiegargli che salire sul palco di Sanremo vuol dire esserlo a prescindere. Averlo avuto all’Ariston dopo l’ascesa che ha lo visto disputare la finale di Wimbledon l’anno scorso è stato bello, ma il tutto si risolve in un cameo che non lascia traccia.
Roberto Saviano: voto 9
A lui, loquela fluente e chiarezza espositiva cristallina, è affidato il ricordo della strage di Capaci e di quella di via D’Amelio. Con un invito alle nuove generazioni: non siate omertosi, combattete la paura di dire la verità. Di pause di riflessione di questo tipo la televisione mainstream dovrebbe essere piena fino all’orlo.
Regia: voto 5
È il settimo Sanremo diretto da Stefano Vicario, professionista di lungo corso che ha retto i fili di tutto il triplete di Amadeus. Eppure non sembrerebbe: inquadrature “scentrate”, cameraman che cappottano, affanni (e inventiva al minimo) nei raccordi. Nell’ultima serata va un “zinzino” meglio, ma i dolly vertiginosi non coprono le magagne.
Scenografia: voto 10
Il team Castelli, col padre Gaetano coadiuvato dalla figlia Maria Chiara, si supera e fa il capolavoro: la fusione tra i moduli tondeggianti del 2020 con la sensazione “macchinico-teatrale” del fondo-palco dell’anno scorso dà vita a un organismo avvolgente e variegato, pulsante e cangiante. Un ventre vivo e tentacolare, che si giova di un’invenzione stupefacente: un sipario velato intinto di immagini memoriali, talora sfruttato in senso di trasparenza (vedi il ricordo di Raffaella Carrà con la danzatrice fantasma).
Logo: voto 8
Da un font morbido e rassicurante si dipana un’esplosione fantasmagorica di spermatozoi colorati, fra il fucsia e il ciano con punte di giallo. Lo sperma è vita, che nuota in un ambiente scenografico che è un ventre femminile: forma coerente col contenuto.
Sistemi di votazione: voto 5
Dopo la cancellazione (legittima) della contestata giuria di (non) qualità, quest’anno Amadeus la fa grossa ed elimina anche il voto dell’orchestra (da lui stesso elogiata, con un filo di ipocrisia, ad ogni inizio di serata) per dare un maggiore spazio al televoto. Fin troppo, perché il fatto che le cover contino ai fini della gara ufficiale movimenta la classifica in maniera immeritata. Inoltre, checché se ne dica, l’esibizione di Jovanotti ha falsato la competizione.
Promozioni delle fiction Rai: voto 5
Mamma Rai ne approfitta (e ci mancherebbe che non lo facesse, vista la scorrettezza del concorrente), ma si tratta degli sprazzi più noiosi e inerti della scaletta (da anni). Gli interpreti che si prestano al gioco sono anche – a volte – volenterosi (tipo Claudio Gioè). Ma gli spot inframmezzati alla trasmissione risultano, a onor del vero, decisamente più impattanti dal punto di vista comunicativo. E forse quelli bastano.
Fantasanremo: voto 6
Tirando le somme, c’è da essere contenti del seguito raggiunto quest’anno – anche grazie alle campagne social di alcuni influencer – dallo storico gioco di scommesse festivaliere del bar Papalina, perché ha contribuito a penetrare un target ormai svincolato dalle arcaiche logiche televisive (la fascia 15-24). Ma la cosa ha rischiato sovente di tramutarsi in un’ossessione: offrire all’orchestra i fiori dovrebbe essere un bel gesto, che in tal modo è svuotato del suo valore. E alcuni (Sangiovanni, Michele Bravi) non hanno posto remore al titillare i seguaci. Tra la simpatia e l’antipatia.
Esibizioni sulla Costa Toscana: voto 6
L’idea è quella di un’evoluzione “balnear-portuale” del Nutella Stage del 2020, ovvero un palcoscenico aggiuntivo che funzionasse da prolungamento di quello ufficiale e contemporaneamente da product placement spudorato. Ma limitarsi ad utilizzarlo per un remake in loco (comunque piacevole) dei brani degli anni scorsi su base registrata svilisce il proposito di ampliare le quinte dello spettacolo.
Festival di Sanremo 2022: voto 7
L’handicap di fondo di questa godibile edizione della kermesse è stata la mancanza di sorprese sul fronte della gara: già prima dell’inizio si sapeva al 100% chi avrebbe vinto (e infatti, stavolta, nessuno spazio a sorprese che sparigliano le carte e tantomeno alla commozione, né per i trionfatori né per il pubblico a casa), un po’ come accadde nel 1990 con la telefonatissima incoronazione dei Pooh. Al netto dei difetti (endemici e contingenti, comunque mai realmente molesti), a parlare sono ascolti straripanti, canzoni che ci terranno compagnia a lungo e l’ebbrezza trasversale suscitata dall’evento.
Non ci resta che darvi appuntamento al prossimo anno e grazie per averci seguiti.
Simone Trevisiol
Marco Giavatto