Siciliano dal cognome che ricorda qualcosa di argentino, forse anche per questo si accompagna molto spesso ad una chitarra. Il Professore Errera, com’è più comunemente conosciuto (nel suo paese Scicli), insegna Arte oramai da 37 anni (prossimo alla pensione ci fa sapere) e più o meno dallo stesso tempo suona e canta. E’ stato l’idolo di molti suoi studenti (ha visto tantissime generazioni passargli e cambiargli sotto gli occhi). Da qualche mese ha inciso e pubblicato un disco che vi invitiamo ad ascoltare (Ti Cantu su Spotify). Lo abbiamo incontrato per voi, per scoprire un po’ il suo mondo.
Da quanto era in cantiere l’idea del disco?
Cantiamo da sempre questa è la verità, non è il primo disco che faccio in realtà. Il primo uscì con la collaborazione di un musicista eclettico: Mimì Trovato! A sua volta suonava in un gruppo pop capitanati da Franco Catera. La differenza tra “Ti cantu” e la prima esperienza sta innanzitutto nella musica, qui sono intervenuti tantissimi artisti. In occasione del primo disco, a suonare tutti gli strumenti, registrati in studio fu Mimì era un suono più sintetico. La coralità sta alla base di questo album, dove il canto popolare siciliano viene portato avanti in maniera innovativa (o almeno cerchiamo di fare questo). Nel nostro modo di fare musica c’è sempre in atto una fusione, suoniamo spesso in piazza. (Come in occasione della Chiaranta – Festival della Taranta a Chiaramonte Gulfi) La gente ha sempre bisogno di scatenarsi e di ballare, specie con suoni e parole che conosce già e a cui perciò sente di appartenere. Gli arrangiamenti sono stati curati dal nostro fisarmonicista che studia al conservatorio e ha svolto il ruolo di direttore artistico (in pratica). Io ho portato chitarra e voce, (e scrittura o riadattamento), è stata una bellissima esperienza.
Quali sono i brani dove questa fusione è avvenuta di più?
Non c’è dubbio, praticamente tutti! A cominciare da “Nu ranni pinsaturi” (scritto da me) e vi do un’anticipazione: è il brano che abbiamo scelto per un videoclip insieme a mio figlio Andrea, che ne curerà regia e montaggio. Ecco lì si è manifestata la fusione perfetta, fra quello che era in partenza, un brano legato alla tradizione (parliamo di una serenata d’amore) e suoni nuovi, ritmi moderni, atmosfere contemporanee per arrivare a tutti. Abbiamo osato anche con “E vui durmiti ancora”, forse rischiato poiché non era mai stata interpretata in maniera così audace e veloce, anche Bocelli l’ha interpretata, ma sempre molto lenta. Una vera chicca tutta originale è “Me Me” che è quasi un ricordo dei tanti giochi fatti da bambini, ma sopratutto delle filastrocche popolari che a quei giochi davano ritmo. E ancora poi “A passioni” (legata alla passione di Cristo ma in chiave sciclitana, anche in questo caso, il testo è un vecchio canto popolare che ho riadattato) e “Maria li mulici” che ormai canto da anni poco prima della rappresentazione teatrale che ha luogo ogni anno a Scicli. In tutti i brani il testo rispetta la tradizione popolare, la musica doveva e poteva essere solo contemporanea.
“Cu ti lu dissi” di Rosa Balistreri l’avete praticamente rivoluzionata…
Tutto merito de “I tiempu persu”, non esiste una versione così di questa canzone. Praticamente oramai io sono diventato il loro cantante, però avviene sempre uno scambio io porto i miei brani, (che originariamente sarebbero tutti chitarra e voce e quindi lenti) e loro portano la musica, la gioia, il divertimento. Un connubio perfetto! Su Rosa poi era doveroso far qualcosa: lei ha abitato a Scicli per tanti anni, prima di trasferirsi a Firenze. Mi ricordo ancora i concerti a cui mio padre mi portava, fatti su cassoni di camion scoperchiati con una piccola lampadina che pendeva sopra e la voce della Balistreri quasi non aveva bisogno di amplificazione. Tornando a noi, anzi ai ragazzi che mi accompagnano, mi fanno sentire vivo, poi siamo liberi di interpretare quello che vogliamo, spesso non abbiamo una scaletta, basta uno sguardo e in base al calore del pubblico, decidiamo il pezzo da cantare.
Arte e musica come si sposa la passione per queste due discipline?
Quando dipingo sento sempre vibrare qualcosa. Quando canto di fronte a piazze meravigliose, piene di volti e di facciate barocche, probabilmente viene fuori l’ispirazione per la tela. Sono due cose che fra loro si mescolano in continuazione. E’ una questione di momenti musicali, di pittura e viceversa. Nella mia testa c’è però una costante ricerca: un’opera è sempre lì, ce l’hai dentro, basta aspettare il momento giusto e verrà fuori. Tante volte mi sono ritrovato di fronte ad un testo e la musica è venuta così come per magia, come se fosse stata dettata da qualcuno.
Tradizione, religiosità ma anche folklore. Dove inizia una cosa e finisce un’altra?
Io ho ricordi di una Scicli piena di persone per le feste cosiddette religiose, che però sono sempre state fonte di grande folklore. Credo che non ci sia una distinzione ben precisa. Canto spesso pezzi che hanno un grande valore spirituale ma so che dentro c’è una storia intrisa da tutte le denominazioni che abbiamo avuto e cerco sempre di sintetizzare (per quanto possibile) l’incontro fra queste civiltà o fra la tradizione e la religione nei brani che canto e suoniamo. E’ la funzione stessa della canzone poi che in parte ci aiuta, quattro minuti per aprirti scenari lunghi nei secoli.
E’ indubbio che basare sull’ironia e l’allegria il tuo percorso è stata una carta vincente…
Sopratutto nel mio “vero” lavoro. Con i ragazzi a scuola spesso facciamo “Teatro” (inteso come momenti di improvvisazione estemporanea di vita normale). Io se non scherzo fondamentalmente mi annoio, non trovo stimoli, in tutto quello che faccio. Condire tutto con una sana ironia è una prerogativa che ho sempre portato con me. E’ un modo per coinvolgere e sopratutto per sdrammatizzare, mentre forse la società contemporanea tende sempre a cercare il dramma, io nel mio piccolo cerco il modo di scherzare dalla mattina alla sera.
Marco Giavatto
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Link per ascoltare l’album (Ti Cantu – Carmelo Errera)