Napoletano ma più che altro “attore tipicamente italiano”. (artista completo in verità, autore, regista etc…etc…) Sguardo sempre furbo e pronto, sia in scena che nella vita, non puoi sapere quando apporterà una variazione magari dialettale, spesso spiazzante e con tempi comici “eccezionali”. La risata con Marco Simeoli avviene per disarmo, di fronte ad un personaggio così in effetti non ci resta che alzare le mani in segno di resa: è troppo forte, non c’è niente da fare!
L’elenco delle opere teatrali, cinematografiche e autoriali a cui ha partecipato o di cui è stato protagonista è praticamente infinito. Formatosi presso il Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Roma diretto da Gigi Proietti, ha poi seguito vari seminari di recitazione tra cui quello su L’uomo e l’attore tenuto da Orazio Costa, lo Stage internazionale di Commedia dell’Arte” tenuto da Antonio Fava, su L’attore che canta il musical tenuto da Penny Fuller e ancora con Ennio Coltorti, Alvaro Piccardi, Elisabetta Pozzi, Yves Lebreton e i fratelli Colombaioni. Ha seguito corsi di doppiaggio presso la Fonoroma, di musica con Germano Mazzocchetti e canto con Donatella Pandimiglio. E’ uno dei maggiori rappresentanti della commedia musicale italiana (capostipiti Garinei e Giovannini) e della tradizionale e spettacolare macchietta napoletana del teatro di rivista. Lo abbiamo incontrato in occasione della ripresa delle repliche del suo spettacolo “Manca solo Mozart” .
Manca solo Mozart è il titolo dello spettacolo che stai portando in scena in questo periodo e a cui tieni molto, aveva già debuttato nel finale del 2019, poi la pandemia l’ha bloccato, ora è ripartito… che spettacolo è?
Dopo l’anteprima del 2019 (due giorni), l’abbiamo ripreso a distanza di quasi due anni ad ottobre dalla Sala Umberto di Roma. Innanzitutto ho la fortuna di essere da solo in scena (fortuna in quanto le grandi compagnie in questo momento e da quando si è ripreso vivono grandi momenti di panico da un giorno all’altro), per cui mi preoccupo meno… il timore resta per la ripresa di “Aggiungi un posto a tavola” che partirà da Febbraio.
Fu emblematica la chiusura ‘forzata’ dello spettacolo, eravamo a Bergamo al Creberg dopo i fatti di Codogno, la domenica il sindaco Gori pone il divieto di rappresentazione e il pubblico viene ‘respinto’, mandato indietro in pratica… (c’erano 1800 persone) noi subito messi su un pullman e rispediti a Roma.
Tornando a “Manca solo Mozart”…
Ho aspettato molto tempo per metterlo in scena, appartiene alla mia anima e racconto di una storia vera, legata alla mia famiglia e al negozio di musica più importante di Napoli ‘Musica Simeoli’. Ho avuto la fortuna di incontrare Antonio Grosso a cui ho “donato” tutta l’aneddotica trascritta da me e tramandata da mio nonno e da mio padre. Antonio è stato bravo perché ha realizzato quello che io desideravo, fin dall’inizio non mi interessava l’idea di far venire fuori una storia “privata, personale” ma piuttosto uno spaccato del nostro paese. Si tratta anche di un grande omaggio a Napoli ma per i personaggi che arrivano in scena (sono da solo ma il palcoscenico è molto popolato) è un grande frammento della storia d’Italia.
Su Antonio ti dico: “Istintivamente un giorno l’ho chiamato. E’ napoletano, è più giovane di me ed io ho voluto anche pormi una sfida con lui. Qualche anno fa, mi fermò in strada per chiedermi di fargli una regia e quando a distanza di anni sono io a chiedergli di scrivere e dirigere uno spettacolo così importante per me… lui si commuove e mi abbraccia ed anche questa è la magia del mestiere che facciamo. Io non l’avrei mai scritto come l’ha scritto lui. Un attore, autore e regista molto bravo che ha messo quella modernità che io non avrei saputo trovare.”
Lo spettacolo
Il titolo, infatti riassume la doppia interpretazione che si può fare dello spettacolo… da quel negozio sono passati tutti da Igor Stravinsky (di passaggio per Napoli) a Riccardo Muti che studiava di fronte dove c’è il conservatorio di Napoli. In quella che poi è una strada magica e viene chiamata la via della musica (Via San Pietro a Majella) e tanti altri come: Renato Carosone, Pino Daniele, Libero Bovio, Ferdinando Russo, Antonio De Curtis… e via dicendo. Sono 100 anni dalla Belle Époque fino ai giorni nostri.
Le due repliche iniziali (2019) hanno avuto tra il pubblico un ospite particolare: Gigi Proietti (la nostra rivista è nata dal saluto a questo grande attore – il n° 0 speciale), che rapporto avevate?
Un rapporto unico, ventennale, accanto a lui e venne dandomi una “benedizione” allo spettacolo. Mi disse delle cose bellissime. Avevamo poi un nostro modo di comunicare, bastava uno sguardo, un gesto… con quei suoi occhi e le sue maniere uniche mi fece capire tutto, fu un momento bellissimo ed emozionante. Io mi porto quella serata nel cuore di cui fortunatamente ho la ripresa. La fortuna di averlo incontrato da giovane e di avermi trasmesso il mestiere in maniera artigianale (perché il nostro è un artigianato) è impagabile perché alcune cose non sono possibili da spiegare o da leggere sui libri. Si impara con la presenza e quando poi riesci a far diventare tue quelle nozioni, quei momenti, quei “segreti”, trasmissibili soltanto attraverso la frequentazione e il vissuto, ti rimangono per sempre. Nessuno riesce più a portarti via quel bagaglio che ti torna utile, sopratutto nei momenti difficili.
L’insegnamento di Gigi per quel che concerne la recitazione era un concetto musicale. Per Proietti recitare è l’esplicazione di uno spartito musicale: con note, accenti, variazioni, silenzi. Senza parlare poi dei tempi comici per cui ci spronava sempre ad avere “orecchio”.
Essendo anche uno dei migliori interpreti del teatro musicale e di rivista Napoletano che cos’è per te la Musica?
Un noto personaggio chiede a mio zio: che cos’è per voi la musica!? e parte un monologo meraviglioso, un elogio alla musica incredibile.
La musica è il cuore dell’universo che pulsa costantemente in contrasto alle cose brutte… la musica ti fa commuovere, ti fa emozionare, ti fa piangere, ti fa venire la pelle d’oca, ti fa ricordare cose passate, ti fa pensare cose future.
Per me è stata un destino la musica: nato in famiglia, anche se come mio padre, non ho mai imparato a suonare uno strumento. Poi io sono napoletano e Napoli è la musica. Canto ed ho cantato ma provengo dalla prosa, ma l’incontro tra questi due emisferi (musica e recitazione) è la chiave di tutto. Ho fatto la regia di molti musical pur essendo poco conoscitore dal punto di vista tecnico, mi sono sempre servito dell’istinto musicale che accompagna tutta la mia vita e che mi ha reso sempre tutto più facile. Una delle cose che più mi inorgoglisce, dunque è sapere di tenere viva la grande tradizione della commedia musicale (tutta italiana – Garinei e Giovannini) che viene dal café chantant, il teatro di rivista. Io il varietà l’ho cominciato a fare da piccolissimo a Napoli nelle prime compagnie di cui facevo parte. L’incontro di un certo genere che è la macchietta napoletana risale al periodo in cui ho lavorato con Vittorio Marsiglia (uno dei maggiori rappresentanti ad oggi del genere) che me l’ha insegnata svelandomi alcuni trucchi.
Costa e Scola… due incontri pieni di fascino e che tanti avrebbero voluto fare nella propria carriera, mi racconti com’è andata?
Iniziamo da Costa (Orazio Costa celebre inventore dell’unico metodo di recitazione italiano a cui ha dato il nome), lo studiai durante il laboratorio di Proietti ma non lo capii tantissimo. Poi venne il momento di staccarci dalla scuola dopo il diploma, erano ancora anni in cui il servizio di leva in Italia era obbligatorio, figurati cosa si pretendeva da un ragazzo che era appena uscito da una scuola fantastica e voleva cominciare a far decollare la carriera! Se vogliamo anche furbescamente optai per fare l’obiettore di coscienza presso una comunità per tossico-dipendenti di Roma in cui facevo già volontariato (rimanere nella capitale era essenziale per mantenere i rapporti teatrali). Un bel giorno sulla bacheca degli impegni settimanali vidi scritto: “si cancellano tutte le attività poiché la settimana verrà dedicata al seminario di metodo mimico tenuto da Costa in persona”. Lo interpretai come un segno del destino, chiesi di partecipare come uno dei ragazzi ospiti della comunità e capì perfettamente da quel momento in poi cosa si intendesse per metodo mimico, fu un’esperienza unica.
Con Ettore Scola girai una scena di “Gente di Roma” del 2003 al di là del film, mi rimane l’esperienza straordinaria. Giravo una scena con Gigi Proietti che finito il ciak salutò la troupe, il maestro Scola e andò via. Io rimasi lì credendo di aver finito anch’io di lavorare, dopo Proietti non potevo aspettarmi altro invece no! Avvenne una cosa che non mi sarei mai aspettato, non solo cominciammo a girare i controcampi di quella scena (per me), per intenderci i miei piani di risposta a Gigi, ma Scola si occupò personalmente di me, mi venne accanto mi sistemo i capelli, i vestiti ed io ero incredulo. Anche questo mi ha insegnato molto, curava tutto nei minimi particolari, ed aveva una grande generosità, forse per questo non era uno dei tanti. Quando andai al cinema a rivedere il film, non trovai la mia scena con Gigi era stata tagliata per esigenze di produzione, se ci penso ora mi viene da ridere ma allora fu una sorta di dramma.
Quando si smette di essere allievi e quando si capisce di essere diventati maestri d’arte?
Fin quando c’è stato Gigi non ho mai smesso di considerarmi suo allievo. Ero lì (dietro le quinte o in scena con lui) lo ammiravo, lo scrutavo sempre nell’intento di imparare qualcosa non soltanto come maestro d’arte, ma anche come maestro di vita, grande maestro anche nelle relazioni e dei rapporti umani. Per esempio nel rapportarsi con i reparti come lui li chiamava: “riunione reparti!” chiamava a rapporto tutti così! Voleva sapere se c’erano problemi o come aiutare. Io non so dal canto mio se sono e quando sono maestro d’arte, spesso capita di meravigliarmi nello scoprire quel che arriva alle persone. E’ molto più di quanto io ho creduto di dare. Questo mi fa pensare che nel mio piccolo in tanti anni ho seminato delle cose che oggi possono rappresentare un riferimento, un esempio o come diceva Gigi: “Una falsa riga…” questo mi commuove e mi riempie il cuore di gioia.
Marco Giavatto
Marco ha scritto anche un libro. Un manuale di consigli per mettere in scena uno spettacolo (2006). Da quel momento è già cambiato molto e ci auguriamo presto una riedizione (scritto insieme a Claudio Pallottini) si chiama Mettere in scena uno spettacolo.
Troverete tutto il curriculum di Marco Simeoli in questo link. Le date dello spettacolo le potete trovare in questo link.
Le foto utilizzate nell’articolo sono da considerarsi come strumento di natura giornalistica/descrittiva. Ringrazio Consuelo Fabi, Francesco Nannarelli per avermi dato la possibilità di usarle.