Il lunedì di oggi presenta un classico della cinematografia italiana: Il Postino.
Tratto dal romanzo Ardiente pacienca del cileno Antonio Skarmeta, cinque candidature agli oscar del’96, regia di Michael Radford, anno 1994, rimane ad oggi tra i film più piacevoli da guardare.
Tutti ricorderanno anche a grandi linee la trama: Mario Ruoppolo, interpretato dal grande Massimo Troisi, disoccupato e figlio di pescatori, abita un’isola del sud Italia, luogo che ha dato asilo politico al noto poeta cileno Pablo Neruda, interpretato dall’attore Philippe Noiret. Senza lavoro, Mario viene assunto come unico postino dell’isola, consegnando la posta al solo poeta, dal momento che il resto deli abitanti è analfabeta. Giorno dopo giorno tra i due si instaurerà un’amicizia sorretta da stima e affetto, ricordata adesso come tra i più dolci sodalizi della narrativa del cinema moderno.
Su questo capolavoro negli anni sono state spese tantissime parole, bellissime recensioni e riflessioni. Ma l’originalità che ruota attorno a questo film, viene di volta in volta tutelata dall’umanità che conserva dentro.
Tutto il mondo intero è la metafora di qualcosa?
Troisi ha voluto fare ad ogni costo l’adattamento cinematografico al romanzo in questione, comprandone i diritti e affidando la direzione a Radford. Per molti è ritenuto Il testamento spirituale del grande attore, poiché morì il giorno dopo la fine delle riprese.
Attraverso l’espediente poetico, il film diviene esso stesso una poesia. Poesia e metafora della vita presa nella sua semplicità e durezza. Ci viene mostrata la bellezza delle piccole cose e dei rapporti personali. I piccoli momenti di felicità accanto a quelli di malinconia. Espressioni dell’animo che solo Troisi riusciva a restituire al grande schermo con estrema veridicità.
La trasposizione emotiva tra il film ed il vissuto artistico del poeta Neruda e del nostro Troisi è fortissima.
All’interno della pellicola vengono citate alcune poesie di Neruda come Ode al mare o Mi piace quando taci perché sei come assente. La poetica di Neruda si avvale del realismo ma anche surrealismo, di versi intimisti ma anche gridi civili. Denunce sociali presentate in delicate ma efficaci righe pensate. Come in: Spiego alcune cose. Il dolore diviene presenza costante di un vissuto. È esso stesso il vissuto. Attraverso questo senso di profonda vacuità e tristezza è possibile dar vita a qualcosa di estremamente bello e libero, come l’arte poetica. E la poesia fa da collante in queste due dimensioni.
-Neruda: Io non so dire quello che hai letto con parole diverse da quelle che ho usato.
Quando la spieghi, la poesia diventa banale.
Meglio delle spiegazioni, è l’esperienza diretta delle emozioni che può spiegare la poesia ad un animo disposto a comprenderla.
Questo film offre ottimi spunti di riflessione già allora quanto adesso. Lentamente stiamo perdendo l’esercizio alla sensibilità delle cose. All’ascolto delle emozioni dei singoli. La poesia avvicina dove le parole degli uomini allontanano. Certi versi riescono a descrivere i contorni dei luoghi senza incomprensioni. Sempre di più innalziamo limiti laddove la poetica potrebbe distendere infiniti. A volte è come se sbagliassimo nel concentrarci nei dettagli più futili, quando invece la poesia inquadra quelli più importanti.
La figura del poeta, nel film, viene presentata con saggezza, ponderazione, pacatezza. Come colui che abita il mondo percependone l’essenza. Sempre di più queste descrizioni stridono con gli attuali temperamenti. Nel film vengono trattate diverse tematiche come il sentimento d’amore, d’amicizia, del rispetto verso gli altri. Sentimenti profondi e intimi dove non bastano le sole parole per sentirne l’essenza ma una predisposizione dell’animo come ci spiega il poeta. Ecco perché il postino è definito un vero elogio al potere della poesia.
Anche l’idea più sublime, se la senti troppe volte, diventa una stupidaggine.
Un’ulteriore e veritiera citazione presente nel film. Apprendendo da questa, non mi dilungherò ancora nel ripetervi quanto questo film sia espressione massima dell’autenticità della vita, della riscoperta del semplice e per questo unico. Ci pensano i colori distesi, sognanti della pellicola ad evocare un senso genuino della realtà. Un blu luccicante che collega le inquadrature del mare con quelle del cielo. Un luogo dove confondere i propri pensieri e alleggerirsi dalle emozioni più pesanti ed accettarle come contingenti, proprio come ci chiariscono i due amici protagonisti.
Il postino è una lettera romantica recapitata a tutti noi. L’ultima consegna di un ulteriore strepitoso vertice ad opera dell’immenso Massimo Troisi.
Per concludere,
vi è una poesia, erroneamente attribuita al poeta Pablo Neruda (ma non per questo meno attuale e valevole) che, a parer mio, ben si sposa con il contesto del film e della nostra quotidianità.
Parla di creatività come una dimensione che ci appartiene. Tramite essa è possibile accettare la fragile provvisorietà del momento. È possibile rilevare la vera arte, l’armonia, la bellezza… scoprire il nuovo andando oltre l’apparenza degli avvenimenti. Una vita non vissuta, porta l’uomo alla sua sconfitta ma essere creativi verso la propria esistenza, rende partecipi del proprio tempo. Proprio come Neruda insegna a Mario, il quale, anche se non rivedrà più il suo caro poeta che farà ritorno sull’isola, trova comunque il modo per esistere in cuor suo. Con la stessa creatività e vivacità. Come noi oggi ricordiamo Troisi.
L’autrice della poesia in questione è Martha Medeiros, si intitola Ode alla Vita, e recita così:
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti. Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Gaia Courrier.