I Pupi sono la coscienza e l’anima del popolo Siciliano.
In questa intervista navighiamo le coste della Sicilia, in particolare quella orientale del catanese. La brezza marina di questi luoghi ci trasporterà verso la storia di un teatro popolare, quello dell’Opera dei pupi, peculiare genere spettacolare che contraddistingue la cultura siciliota. Da una progressiva trasformazione delle antiche marionette a filo di testa, al ferro di mano che articola i pupi, dal 2008 l’UNESCO ha elevato e riconosciuto questo genere come patrimonio orale ed immateriale dell’umanità. Ad aprirci le porte di questo teatro sarà un puparo di professione: Salvatore Mangano.
Mangano è un noto puparo della provincia di Catania. Nel 1980 fonda la compagnia teatrale Il Paladino. Allievo a sua volta dei grandi pupari catanesi Salvatore Laudani, del commendatore Nino Insanguine e Turi Faro. Come da tradizione, da questi maestri egli ha appreso sin da giovane l’arte manuale della costruzione dei pupi, la loro gestualità e il loro parlare. Con enorme rispetto porta avanti una storia teatrale lunga da secoli: quella del Cuntu, divenuto poi sul finir dell’Ottocento espressione popolare manifesta nei teatri dell’òpira. Esportando i suoi spettacoli in tutta la Sicilia e oltre lo stretto, Mangano ha riscosso da sempre un notevole successo e numerosi riconoscimenti nel settore. Con la sua compagnia cura dei corsi aperti per di più ed auspicabilmente alle nuove generazioni, durante i quali si insegna l’arte drammatica puparesca, abbracciando i settori più caratterizzanti come quello scenografico, dello studio dei testi dell’Opera, della costruzione artigianale.
Da profondo amante di quest’Arte, il puparo Salvatore Mangano custodisce con meticoloso amore, una collezione privata di canovacci, oggetti scenici, commentari e antichi libri tramandati di mano in mano nel corso della storia dai più noti capostipiti del teatro dei pupi. Instancabile narratore, con gli occhi di chi guarda il mondo da una prospettiva priva di grandi artifici ed impurità, è salito per noi sul palco libero della spiegazione, regalandoci posti in prima fila per ascoltare qualcosa su questa speciale forma di spettacolo.
Cos’è per lei l’Opera dei pupi e cosa sono i pupi per lei?
L’Opera è un teatro fatto per il popolo e un popolo che ha scelto un proprio teatro. In realtà era necessario per quel tempo trovare un alter-ego di un sistema politico che si viveva cioè quello dell’aristocrazia che esercitava un certo potere, quindi il popolo veniva soggiogato da questa capacità potenziale degli aristocratici ed ha voluto creare una sua dimensione nella quale sentirsi a proprio agio e più al sicuro per degli istanti, ritrovarsi in una propria realtà popolare attraverso dei pupi. Il pupo per me è un tramite di messaggi. È il personaggio che viene creato per essere un intermediario dei propri sentimenti, delle proprie aspettative attraverso una storia che potrebbe essere anche semplice, che potrebbe apparire quasi scontata ma che ha il suo fascino.
Quanta espressione popolare si ritrova in questo teatro e in quali forme essa si esprime?
Inizialmente questo teatro popolare nasce dalla coincidenza di determinati eventi che sono per esempio il Cuntu che si trasformerà poi in materia puparesca nelle varie storie rappresentate in teatro. Quest’arte del Cunto per sette, otto, nove secoli, partendo dai Jongleur normanni viene importata oralmente nell’isola e diviene il tema principale e l’attrazione più grande: quella del raccontare storie. L’espressione popolare è molto importante, la coscienza di un popolo viene rappresentata proprio nella motivazione quasi docile dei racconti che vengono espressi e che hanno una loro valenza perché questa forma di esaltazione delle storie raccontante, non è altro che un tema sociale che accoglie gli ambiti più umani come l’etica, la religione, la difesa della donna di quel tempo, l’impresa nobile che il cavaliere fa nei confronti del più debole, quindi la discesa dei più fragili che subiscono i secolari soprusi dei più forti. Questi punti cardine vengono presi dal popolo, dalla gente umile e se ne fa un’intera trama sociale. Ecco perché è importante questo aspetto, perché l’esaltazione di temi come l’onore e il senso di giustizia (una giustizia che non veniva perpetrata purtroppo in maniera eguale da parte del potere) la si ritrovava almeno in queste etiche che il popolo si era costruito attraverso i suoi cunti e tutti i racconti medievali come la storia di Orlando, la Chanson de Roland che diventano poi un materiale rielaborato dai cuntastorie siciliani ed occasione di redenzione se pur meramente recitata.
Sull’onore e sulla morale, dando uno sguardo ai nostri giorni, cosa stiamo rischiando di perdere che magari l’Opera dei pupi cristallizza ancora in una sua qualche misura?
Questo mondo dell’òpira è un mondo che sembra così puro, in cui si crede eternamente in questi valori… è una società molto più ordinata per quanto riguarda i cardini sociali anche se, sempre parlando del popolo di una volta, quello semplice, comune, non vi erano molti riscontri di benessere. Parliamo di pescatori, di artigiani, di contadini, di gente semplice ma che aveva trovato un senso nella vita, una loro etica in cui credere ma soprattutto questi spunti vengono sottratti dal teatro popolare dell’Opra dei pupi, diventavano per loro un motivo esistenziale. Vivevano per cui, abbastanza più felici di noi che attualmente ci creiamo continuamente mille problematiche non solo prettamente di natura ambientale ma anche strutturale per quanto riguarda una società che, avanzando nella globalizzazione, rischia di lasciare indietro alcuni dei valori più semplici come il sapersi accontentare di poco. Quindi oggi ci si chiude su sé stessi e si rischia di non produrre quel senso di collettività che è necessario per risolvere certi problemi. Basta dare uno sguardo al potere governativo che raggiunge la sua potenza non per garantire un benessere pubblico e comune ma per sfruttare un interesse privato. Difronte a questa avidità di potere sarà impossibile migliorare.
Secondo lei sono più umani gli esseri umani o i pupi?
Può sembrare un paradosso ma i pupi hanno una loro anima espressiva, hanno un qualcosa di alchimistico che non si può spiegare con le parole perché i loro sguardi, il loro atteggiamento è di chi vuole chiedere e vuole sempre dare. Dare un messaggio buono e positivo anche tramite l’identità che si crea attraverso il loro modo di saltare all’occhio visivo, alla loro presenza scenica fatta da scintillanti armature, da colorati pennacchi, da argentee spade che non sono delle spade che fanno del male o sono un incentivo alla guerra ma sono un incentivo alla più semplice delle forme cioè quelle dell’affabulazione del mondo quasi mistico e avventuroso che ti porta al gioco, e ti dà mille sfaccettature di pensiero. Con i pupi si percepisce la verità e questa cosa crea sintonia ed empatia inevitabilmente, un contatto diretto sorretto da un legame autentico. Questi sono dei tratti che purtroppo nell’uomo vengono sempre meno…
Sulla base di queste emozioni, quando opera con i pupi, cosa prova?
I pupi hanno una loro energia magnetica che si avverte per chi vive il loro status. La sensazione è inspiegabile, può sembrare assurdo ma io con i pupi ci parlo, quindi avverto una presenza un qualcosa di trasmesso da parte del pupo verso la persona. È un magnetismo che da un input. Il pupo mi rigenera, mi dà una forza misteriosa che a contatto, insieme, mi si aprono mille orizzonti, mille sensazioni umane, mille volti essenziali che si racchiudono in uno. Un’energia ammaliatrice incontenibile che bisognerebbe vivere come sensazione: l’attesa, l’ansia positiva di vedere il pupo in azione, creare quell’alchimia misteriosa che avviene attraverso questa trasfigurazione del pupo e dell’uomo che diventano un tutt’uno. Il pupo che dovrebbe essere animato ma che in realtà ti dà coscienza e che ti trasferisce dei valori e ti fa uscir fuori il meglio di te nella sua magia d’essere. Quando sono in questo mondo magico io non sono più nessuno, quello che mi rapisce è il personaggio e il personaggio entra dentro di me e in quel lasso di tempo non riesco a capire che cosa avviene in me e che cosa può accadere in quel momento in cui io e il personaggio siamo diventati un’unica cosa. Io divento un Orlando ma non per esaltare la mia persona, che potrebbe essere relativa, ma per una sensazionale voglia di mostrare. Per quello che avviene. Per cui, dopo mi sento stremato, come se avessi fatto una seduta spiritica e una volta stanco, torno ad essere l’uomo qualunque e normale che sono, quando un attimo prima il mio io non c’era, era lui il personaggio. Questa è la favola che si prova.
Cosa direbbe ai giovani d’oggi sulla base della sua esperienza come puparo che ha visto generazioni di bambini assistere ai suoi spettacoli e agli spettacoli d’òpira?
Personalmente ho trovato attraverso questa forma spettacolare e affascinante un motivo di vita, per cui in realtà quello che sto per dire potrebbe apparire anacronistico oggi nel mondo del progresso digitale, ma i giovani devono accostarsi anche al mondo della fantasia, al mondo della creazione che è semplice, che può dar vita anche a questa forma di spettacolo o ritrovarla in questa. Una creazione elementare ma composita allo stesso tempo che potrebbe soddisfare gli animi più reconditi di noi stessi. Sarebbe questo il miracolo che si compie poi, in questo mondo dei pupi intesi non come personaggi ma come una dimensione particolare. Aldilà di fare una proposta di propaganda di questo tipo di teatro…Per esempio, quando sono in agone nello spettacolo con un personaggio come Orlando, questo protagonista si innamora di una donna irraggiungibile (per quello che poteva essere la simbologia della donna di quel tempo) ad un certo punto della storia lui si immerge in una caotica estasi, vorrebbe raggiungere questa passione da uomo retto e dai sani principi più alti e dalla posizione sociale molto rilevante, ma poi si perde e si vuole perdere completamente in questo Amore. Insegue l’amata pur sapendo di non essere corrisposto, avverte questo senso di sconfitta ma vuole vivere questa sensazione fino in fondo, a tutti i costi con determinazione e speranza verso il suo futuro, pur arrivando all’estremo della follia ma mettendoci almeno tutto sé stesso. È proprio questo suo carattere che agli occhi degli spettatori risulta incredibile e degno di stima alla fine. Questo è un esempio che potrebbe, a parer mio, far pensare i giovani come un paradigma di vita dal quale prendere spunto. Questa forma spettacolare restituisce tanto da imparare e lo fa con delicatezza ma anche con estremo coraggio.
Gaia Courrier