“Buon viaggio Peppino”
Questa, senza ombra di dubbio, è la chiusa più usata negli innumerevoli messaggi d’affetto sopravvenuti per salutare commossi l’ingegnere Peppino Arrabito. E già qualcosa non torna, cari lettori dell’Argante, perchè questa rivista parla di spettacolo, cinema, arte e di tutto quello che intorno a questo particolare mondo orbita. Allora come la mettiamo? Forse è meglio fare una piccola premessa.
Il primo articolo dell’Argante, come ricorderete, il n#0, ha avuto per coincidenza un altro triste saluto ad un grande mattatore della scena (Gigi Proietti, clicca qui per rileggerlo) e ora dopo 30 numeri, mi ritrovo di nuovo a salutare una persona a me teatralmente e umanamente cara. Faccio volutamente l’accostamento perché credo che le due personalità non siano poi tanto diverse. Attenzione non possiamo né in un caso, né nell’altro scendere nei particolari umani per, ahi noi, scarsa conoscenza e frequentazione dei due personaggi nella vita privata, ma qui si vuol fare riferimento al lato artistico e anche se tutto questo, vi potrà apparire come un evidente discrasia, non c’è invece, mondo più democratico e livellante che io conosca, se non quello del teatro. No! Non c’è da fare distinzioni di carriere, di fama o di numero di personaggi interpretati. Io vi invito a riflettere sul contenuto di quello che due persone così, sono state in grado di restituirci e che importa a quale e quanto pubblico, conta solo l’effetto prorompente che hanno saputo avere nelle vite di chi li ha visti sulle tavole di un palcoscenico.
Da “caratterista” a “protagonista”…
Prendo in prestito le parole del maestro Renato Fidone, co-fondatore insieme a Peppino della compagnia teatrale “Gli amici di Matteo” che vanta mezzo secolo di storia, fondata a Scicli e in grado di avere all’interno delle eccellenze particolarissime come lo stesso maestro e drammaturgo, attore, regista Fidone o il maestro Denaro, da sempre artista delle scenografie; tutti all’interno della compagnia, vi assicuro, sono degni di nota e sarà nostra cura (in quanto redazione di spettacolo) trarne un numero speciale. Nel ricordare l’amico di sempre scomparso, Fidone usa la distinzione caratterista-protagonista che ha al suo interno tutta la poesia di un Teatro che oggi, e lo scrivo con profondo rammarico, non esiste praticamente quasi più. Il suddetto drammaturgo delinea con questa definizione la struttura di una compagnia d’arte o forse nel loro caso, dopo 50 anni, sarebbe meglio dire di una famiglia d’arte; una rarità al giorno d’oggi priva di continuità forse, ma se si ha avuto, come me, la fortuna di potersi imbattere in cotanta fortuna e bellezza, ci si può sentire non solo fortunati, ma pronti ad affrontare qualsiasi sfida teatrale. Far parte della compagnia “Gli Amici di Matteo” in qualsiasi occasione, e in qualsiasi ruolo, ha sempre voluto dire, far parte del Teatro che conta dove non è la fama a far da padrona, sopra ogni ragionevole idea di spettacolo, ma è l’arte scenica sotto tutti i punti di vista. Quindi possiamo solo ora, iniziare a capire cos’era assistere ad uno spettacolo con Peppino Arrabito primo attore e capocomico che era cresciuto e aveva giocato per anni a fare il caratterista (ovvero quell’attore che riveste un carattere umano, che incarna un personaggio vivo e non una macchietta, quell’attore che abitualmente non ricopre parti di protagonista, ma che è dotato di eccezionale forza interpretativa) e con quel bagaglio poi per quasi 30 anni è diventato protagonista.
Si è attori oltre la fama, si è attori e basta…
In un piccolo paese essere un punto di riferimento sembra facile, ma non ci riesci per mezzo secolo se non hai l’umiltà e la forza silenziosa per farti apprezzare da diverse generazioni. A tal proposito, voglio ricordare che Gli Amici di Matteo non vanno pensati come una semplice compagnia di paese, assolutamente no! Sono stati, infatti, in Tournée in tutta Italia e nelle località d’ Europa e del Mondo con un’alta concentrazione di italiani. Li ha accolti persino New York per i suoi siculo-italo-americani alla fine degli anni 90′ e dove fisicamente non hanno toccato palco, sono arrivate le commedie di Fidone. Ma qual è la loro forza? Qual è la forza attoriale e scenica di Peppino Arrabito? La risposta potrebbe sconvolgervi… è la passione per il Teatro. Quello che potevi imparare osservando in scena Arrabito era che non bisogna per forza essere un attore da copertina per essere un grandissimo attore, che il Teatro non si fa per fama, non si fa per essere qualcuno, ma per lasciare qualcosa, per prendere l’attenzione di centinaia e di migliaia di persone che non conoscono il Teatro d’élite riconosciuto come l’unico possibile, ma che rappresentano e sono il vero pubblico. Per chi non sa nemmeno come approcciarsi a questa tipologia d’arte, agli occhi di chi li osserva, di chi ha avuto la possibilità di sognare un futuro nel Teatro da grande, agli occhi semplici di un paesano, di un bambino, Peppino Arrabito e Gli Amici di Matteo, sono dei giganti, irraggiungibili e insormontabili. Per loro il Teatro non è qualcosa di altamente complicato, che solo con chissà quale professionalità puoi arrivare a fare… eppure la naturalezza sulla scena, l’umiltà e la gentilezza dietro le quinte erano e sono incommensurabili.
Quello che si impara da un attore come Peppino
Ci si ritrova incantati a chiedersi come e quando ci sorprenderà di nuovo, con quali tempi fantastici darà quella battuta per cui sarà impossibile trattenere la risata. Il Piccolo Stabile, Teatro costruito interamente dalla compagnia, è il posto dove io ho iniziato a fare teatro e dove ho imparato molto più di qualsiasi altro luogo. Ho guardato Peppino Arrabito, andare in scena tutte le sere ed ho assorbito l’arte del cambiare anche solo in maniera impercettibile il testo, la situazione, il momento, il tempo e il modo della battuta, per provare a far ridere in maniera leggermente diversa dalla sera prima, per il piacere di auto-provarsi e non diventare sempre uguale a se stessi … e se non è questa l’arte dell’attore allora cos’è? Ho avuto poi la possibilità di osservarlo dietro le quinte e da quelle situazioni, probabilmente, ho tratto il migliore degli insegnamenti: l’arte di saper dosare l’energia sul palcoscenico. Consiste nella possibilità di dar tutto, più di quello che si ha in verità quando il pubblico è lì davanti, di trasformarsi in qualcosa che in realtà non siamo realmente, andare a 100, essere magnetici e fuori dal comune, ma solo in scena, perchè poi, non appena varcate le quinte, tutto questo si spegne, in un secondo, come se non fossimo reali. Questo io ho imparato da Peppino Arrabito, che usciva di quinta e si sedeva silenzioso su un divanetto; qualche sera lo disturbavo impunemente, non potevo fare altrimenti, mi avvicinavo e gli chiedevo: «come fa?»… «come fa, lei (gli davo e gli darei ancora del lei, mi sono permesso durante tutto l’articolo di usare un tono confidenziale, ma era così tanto il rispetto che avevo per un personaggio del genere, che non avrei mai avuto il coraggio di dargli del tu)… come fa, lei ad essere così? Lei ora non è la stessa persona che era 30 secondi fa sul palcoscenico, mi dica come fa?». Sarò stato sicuramente fastidioso, ma il fascino era tale che non ne potevo fare a meno; pochi secondi dopo la trasformazione era di nuovo in atto, era di nuovo sul palco, era di nuovo un’altra persona…
La vera magia dell’arte è rimanere per sempre…
Peppino Arrabito rimarrà per sempre un’ icona romantica di un Teatro in via d’estinzione, di un Teatro Popolare… rimarrà una scia da seguire per coloro che al teatro si sono approcciati da poco e che senza saperlo l’hanno assimilato come un punto di riferimento. Credo che un artista sia grande quando non fa niente per esserlo e Arrabito non faceva nulla per atteggiarsi a tale, né per ricercare chissà quale aspirazione, per questo resterà sempre un punto di partenza per chi si avvicina a questo mestiere. Chi ha un archivio custodito con cura delle commedie che lo vedono protagonista, dovrebbe, in questi tempi dove lo streaming e il web hanno abbattuto qualsiasi tipo di frontiera, concedere la possibilità di poterlo vedere recitare. Io ho iniziato a pensare di voler fare l’attore nella mia vita quando la TV locale trasmetteva sempre la stessa commedia Gatta ci cova di Antonio Russo Giusti (portata alla ribalta dallo straordinario Angelo Musco) ma per me poteva esistere ed essere interpretata solo da Peppino Arrabito. Ancora oggi, dopo quasi 30 anni, le battute di quella commedia le cadenze e le intenzioni che lui dava, le so a memoria: l’ho assorbita, come spero di aver assorbito le basi del mestiere, da un grande attore che purtroppo non c’è più. Ma non si preoccupi signor Arrabito, lei esisterà per sempre… io personalmente, ogni volta che ne avrò la possibilità, racconterò di aver avuto l’occasione di conoscerla, di recitare insieme a lei, di poter imparare… grazie! Per questo e mi raccomando, ovunque sia adesso, non smetta di recitare, questo Teatro terrestre ha ancora bisogno di uomini come lei, per ritrovarsi…
Marco Giavatto
Complimenti Marco, proprio un bell’articolo, rispecchia Peppino perfettamente. Ancora oggi è difficile pensare di non poterlo più rivedere, parlargli e condividere le vicende che la vita ci offre.
Giuseppe.