Poirot è stato e sarà sempre l’uomo della mia vita. Poirot equivale ad un pomeriggio rigenerante di tè e biscotti. Poirot è viaggiare all’indietro verso un mondo ormai svanito in cui i gentiluomini salutavano le signore con un tocco discreto del cappello e un leggerissimo baciamano. Poirot significa sperare in un mondo migliore, dove, proprio come nel nostro, ‘le crime, il est partout‘ (Il Mistero di Market Basing), ma dove un uomo apparentemente normale, eppure straordinario, riesce immancabilmente ad assicurare i criminali alla giustizia grazie al suo intelletto e al suo mantra ‘ordine e metodo‘.
Poirot fra letteratura e TV
Be’, li assicura alla giustizia quasi sempre, ad essere onesti. Sì, perché, Poirot non è, come potrebbe sembrare allo spettatore superficiale, soltanto uno sceneggiato degli anni Novanta, popolato da ammuffiti signorotti di campagna, impegnati in obsolete battute di caccia, ed eleganti signore accompagnate dalle loro cameriere in villeggiatura in luoghi esotici. Agatha Christie è, infatti, riuscita ad inserire, specialmente in alcuni dei suoi gialli, degli interrogativi morali non da poco. Primo su tutti quello che si presenta davanti a Poirot nel famosissimo Assassinio sull’Orient Express (1934), in cui l’ispettore belga si trova combattuto tra consegnare i criminali alla polizia e lasciarli andare liberi, conscio del fatto che saranno per sempre costretti a sopportare il peso dell’atto terribile che hanno compiuto, ma anche consapevole del fatto che il loro intento era quello di fare giustizia là dove giustizia non era stata garantita in passato. La scena finale dell’omonima puntata (12×3) della serie TV prodotta da ITV che vede come protagonista David Suchet, in cui Poirot si allontana dall’Orient Express in lacrime e sgranando il rosario che tiene stretto in mano, è sicuramente uno dei momenti apicali dell’intera serie, poiché pone il nostro beniamino di fronte ad una scelta estremamente complessa e ricca di conseguenze, di cui egli si ritrova suo malgrado unico giudice ed esecutore, solitario di fronte ad un dilemma, quello etico, che è forse, per una volta, non risolvibile facendo affidamento unicamente sulle ‘celluline grigie‘.
L’inizio e la fine di Poirot
Agatha Christie, nata Agatha Mary Clarissa Miller, la “regina del crimine” e scrittrice di gialli più venduta al mondo, nacque nel 1890 a Torquay, cittadina nella quale giunse, allo scoppio della Grande Guerra, un folto numero di rifugiati belgi, da cui l’autrice, appassionata degli scritti di Sir Arthur Conan Doyle e Wilkie Collins, trasse ispirazione per il suo celeberrimo investigatore privato con la testa a uovo. Hercule Poirot è infatti descritto come un ex ufficiale della polizia belga, trasferitosi in territorio inglese nel 1914 in seguito all’invasione del Belgio da parte dei tedeschi. Il primo romanzo in assoluto firmato dalla Christie, ed anche il primo ad avere come protagonista Hercule Poirot, è Poirot a Styles Court, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nell’ottobre 1920 da John Lane e ad inizio 1921 (esattamente cento anni fa!) in Gran Bretagna da The Bodley Head.
Da quel momento in poi, Hercule Poirot farà la sua apparizione in altri 32 romanzi e in 54 racconti, fino alla sua dipartita nell’ultimissimo libro che lo vede al centro dell’azione: Sipario (1975). Quest’ultimo è stato in realtà scritto dalla Christie durante la Seconda Guerra Mondiale, ma poi conservato per più di trent’anni nel caveau di una banca fino alla sua pubblicazione l’anno prima della morte dell’ autrice, che già da molto tempo si era stancata del suo protagonista dai baffetti impomatati. Già a fine anni Trenta lo aveva definito come ‘insopportabile’, ma a salvare la vita al nostro Hercule, almeno fino agli anni Settanta, fu la sua popolarità, per cui la Christie continuò a narrare le sue gesta fin quando le fu possibile, rendendolo, tuttavia, un personaggio sempre più ‘sbiadito’. Negli ultimi romanzi, infatti, scopriamo che Poirot si è ritirato dalle scene, non è più famoso come una vota, e spesso compare, per risolvere il caso, solo a metà racconto. Nonostante ciò, Poirot ha un’uscita di scena degna della ‘migliore mente d’Europa‘: alla sua morte (in Sipario), il New York Times gli dedicò addirittura un necrologio, sulla prima pagina dell’edizione del 6 agosto 1975.
New York Times, 1975.
Poirot dopo Poirot
L’eredità di Agatha Christie è stata raccolta, con l’autorizzazione della famiglia dell’autrice, da Sophie Hannah, che ha pubblicato tre romanzi, tra il 2013 ed il 2018, aventi come protagonista Hercule Poirot: Tre Stanze per un Delitto, La Cassa Aperta e Il Mistero dei Tre Quarti.
Hercule, chi?
Poirot viene descritto come un omino dai tratti inconfondibili: ha la testa a forma di uovo che tiene spesso inclinata su un lato, baffi impomatati ai quali tiene in maniera maniacale, non beve tè ma tisane o una buona cioccolata calda, si veste con estrema eleganza ed è assolutamente fissato con la simmetria. Conosce la mente criminale perfettamente ed invece di correre in giro, come fa il suo buon amico Japp, alla ricerca di indizi come mozziconi di sigaretta o impronte sul selciato, ritiene che sia fondamentale fare affidamento sulle “celluline grigie“ e su ‘ordine e metodo‘ per essere certi di risolvere anche i casi più complessi. C’è da dire che grazie al suo record di successi, Poirot non manca di una certa (simpatica) presunzione, ritenendosi addirittura la mente migliore d’Europa ed il miglior detective in circolazione.
Nella serie TV con protagonista David Suchet, l’investigatore vive in un invidiabile appartamento di Whitehaven Mansions, un edificio realmente esistente con il nome di Florin Court a Charterhouse Square, Londra (a pochi passi dal Barbican Centre).
Dalla letteratura allo schermo
Numerosi sono gli adattamenti televisivi e cinematografici che sono stati realizzati a partire dalle storie di Agatha Christie. Albert Finney si è ritrovato a dover far luce sull’omicidio dell’americano Ratchett in Murder on the Orient Express, film del 1974 che gli è valso la candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista. Il cast includeva anche altri nomi di tutto rispetto come Ingrid Bergman (che proprio per questa pellicola ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista per il ruolo di Greta Ohlsson), Lauren Bacall, Sean Connery e Vanessa Redgrave. Peter Ustinov ha invece vestito i panni dell’investigatore belga prima in Assassinio sul Nilo del 1978, affiancato da un cast stellare che includeva David Niven, Mia Farrow, Bette Davis, Angela Lansbury, Jane Birkin e Maggie Smith. Ustinov è stato ancora Poirot in cinque adattamenti degli anni Ottanta: Delitto Sotto il Sole (con Maggie Smith, Diana Rigg e Jane Birkin), 13 a Tavola (in cui un giovane David Suchet veste questa volta i panni dell’Ispettore Japp), Caccia al Delitto, Delitto in Tre Atti e Appuntamento con la Morte.
Di nuovo al Cinema
Nel 2001 anche Alfred Molina ha vestito i panni dell’investigatore, mentre più recentemente è stato Kenneth Branagh a dirigere se stesso (nei panni di un forse troppo atletico Poirot) ed un cast all-star nell’Assassinio sull’Orient Express del 2017 con Johnny Depp, Willem Dafoe, Penelope Cruz, Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Olivia Coleman e Serhij Polunin. Il regista ed attore britannico ha già pronta una nuova pellicola, Assassinio sul Nilo, che doveva uscire lo scorso anno, ma il cui arrivo nelle sale, a causa della pandemia, è atteso per il settembre 2021. Nel 2018 è stato infine John Malkovich ad indagare su La Serie Infernale in una miniserie TV.
Il solo e unico Poirot dello schermo
Tuttavia, per chi scrive, l’unico, inimitabile Poirot è quello interpretato dal geniale David Suchet, che ha saputo trasformare l’investigatore in un capolavoro vero, reale, e ci è riuscito sempre più man mano che ne vestiva i panni, fino a diventare un tutt’uno con il personaggio di fantasia nei ben quattordici anni che ha dedicato alla serie TV Agatha Christie’s Poirot (1989-2013). Gli ha dato spessore senza mai cadere in quella che potrebbe altrimenti essere facilmente una macchietta. Ha studiato varie inflessioni dialettali, un mix di francese e fiammingo, (come spiega in questo interessante video) per dargli una voce realistica, con un accento che risultasse credibile per un belga trasferitosi in Inghilterra. Le sue movenze, seppure affettate e peculiari, fanno sì che lo spettatore sorrida con il personaggio, ma non rida mai di lui. David Suchet ha interiorizzato le abitudini di Poirot in modo che risultassero per lui naturali, sapendo immediatamente, senza doverci pensare troppo su, perfino con quanti cucchiaini di zucchero addolcire una bevanda calda. Suchet ha compiuto il miracolo: mi ha fatto credere che Poirot sia esistito davvero, anzi, che possa ancora esistere, in un mondo parallelo, da qualche parte, dato che mi rifiuto categoricamente di guardare nuovamente Sipario, per cui per me i suoi casi si ripeteranno per sempre da Styles Court a Gli Elefanti Hanno Buona Memoria, per poi ricominciare da capo, in un turbinio di abiti anni Trenta, grandi case signorili, e viaggi in taxi per le strade di Londra. Suchet è riuscito quasi a sparire (eppure resta un gigante della recitazione) tra le mosse e le evoluzioni mentali dell’investigatore: l’attore non c’è più e resta il personaggio, magnifico, familiare, eterno. Lui e tutti i suoi indimenticabili amis: il fedele e un po’ tontolone Capitano Hastings (Hugh Fraser), la precisissima Miss Lemon (Pauline Moran), il simpatico Ispettore Japp (Philip Jackson), nonché la scrittrice di romanzi gialli Ariadne Oliver (Zoe Wanamaker).
Per cui, proprio come dice Poirot, nella sua finale lettera-testamento a Hastings: ‘Cher ami…They were good days.‘ E lo sono stati davvero.
Silvia Bedessi