I bambini hanno una spinta innata ad esperire con estrema creatività ogni spazio di vita che vivono. Ognuno di loro nasce con una peculiarità, una diversità che li rende individui unici e irripetibili, padroni di punti di vista personali su ogni aspetto della realtà che li circonda. Sono naturalmente lontani dallo stereotipo ed hanno un mondo immaginifico immenso che purtroppo crescendo tende a reprimersi, ad omologarsi, a nascondersi dietro a modelli precostituiti per un bisogno di approvazione a cui la nostra società ci conforma. I bambini (al di sotto dei 36 mesi soprattutto) vivono la realtà circostante diventando ciò che vedono tutte le volte: diventano onda, nuvola, mare, cavallo, cane, tavolo. E lo fanno senza alcun tipo di limite o inibizione. Nella mia carriera da educatrice mi sono tanto divertita a scovare gli archetipi espressi nel loro corpo in movimento. Ho visto un bimbo di 18 mesi diventare un coccodrillo senza averlo mai visto. Ha sentito quel suono lungo ed evocativo ha allargato le braccia e le gambe, ha riempito le guance e ha detto “coccocco” (quanto di più lontano dal solito coccodrillo stereotipato che proponiamo noi adulti con le due braccia che battono sulle mani a simulare la grande bocca dell’alligatore). Il loro istinto alla “mimesi”, come la definirebbe Orazio Costa (tra i più grandi pedagogisti teatrali del secolo scorso), è una dotazione umana dalla nascita e dà la possibilità di esplorare la realtà in una completa compartecipazione.
Gli anni della scuola e della crescita
Il momento di passaggio e di crescita che avviene tra la scuola dell’infanzia e la primaria è un tempo delicatissimo in cui il bambino abbandona spesso la singolarità che necessariamente lo porterebbe ad un confronto, all’affrontare il mondo come individuo critico e con delle prospettive personali, per accorparsi a ciò che è universalmente riconosciuto come “normale”. Impara a stare dietro i banchi per ore ed ore; impara a colorare dentro le righe; impara che non si fanno le smorfie, non si seguono gli istinti; impara che la casa si fa così e la montagna si fa cosà; impara che il coccodrillo ha una bocca che va rappresentata con due braccia tese che battono le mani, il cane sta a quattro zampe e fa bau, il gatto idem ma fa miao. E guai se qualcuno si discosta da questo. Sarebbe strano, sbagliato, allarmante. Sarebbe da mandare da qualche specialista alla ricerca di una diagnosi che possa ricollocarlo in un confine precostituito. Certo ci sono degli step da seguire per lo sviluppo cognitivo. Certo è dovere degli adulti indirizzarci allo sviluppo potenziale possibile. Eppure… quanto ci sarebbe piaciuto colorare ovunque volessimo, fare le case tonde, farci le smorfie per la strada. Ma abbiamo assimilato che non si può, non si fa. Molto semplicemente, se lo fai sbagli.
Come tutelare la verità di ciascun bambino?
C’è un posto, però, in cui non solo sbagliando si impara, ma sbagliare è auspicabile perché insegna a trovare subito all’istante una soluzione. C’è un luogo magico in cui ci si può rotolare, si fanno le smorfie senza giudizio, si può urlare, danzare, si possono abbracciare gli sconosciuti… si può addirittura stare nudi. Lì si può essere tutto, trasformarsi, plasmarsi, farsi altro da sé rimanendo coerenti con se stessi. Lì ognuno porta la propria proposta, la propria visione, la propria verità. E non verrà mai messa in discussione perché diversa, anzi, sarà un contributo prezioso. Il teatro è l’unica zona franca in cui si può cogliere a piene mani il proprio istinto disciplinandolo senza sforzo e sublimandolo a servizio dell’arte. Un gioco divertente che insegna ad essere a disposizione degli altri sempre e a distribuire tutto quello che si ha, generosamente, avendo come matrice la propria scintilla creativa.
Il teatro: un’ancora di salvezza
Dal 2007 circa sono insegnante di teatro per bambini. Ne ho conosciuti con ogni temperamento. Quasi sempre i genitori li portavano ai miei corsi per aiutarli negli eccessi del loro carattere: o troppo agitati o troppo impacciati. Visti dalla loro prospettiva i figli erano un po’ strani, sicuramente “diversi”. Ebbene, dopo qualche lezione di assestamento effettivamente tutti stavano magicamente meglio, soprattutto i genitori alleggeriti da un contesto che accoglieva i difetti dei loro piccoli trasformandoli in vantaggi. Ma il teatro non ha cambiato il carattere dei loro bambini, semplicemente ha fornito una condizione di sospensione del giudizio, ha dato spazio al mondo immaginifico smisurato che spesso facevano fatica a contenere. Lì è sempre possibile sbagliare e nessuno critica o cerca di cambiare l’altro; affrontare il palcoscenico con questa leggerezza permette di riscoprire un’ancora di salvezza, insegna a credere sempre nelle proprie idee, a mettersi in gioco, a fidarsi degli altri e, soprattutto, insegna a vivere la vita stessa con indulgenza e molto più coraggio.
Serena Politi