Come preannunciato nell’articolo n. 0 del nostro direttore di compagnia, e qui collega editor, Marco Giavatto, L’Argante è il nome che abbiamo scelto per la nostra rubrica di articoli e pezzi sul mondo del teatro e su tutti i vasti mondi che gli girano intorno. O a fianco.
Nostra intenzione è quella infatti di proporre una serie di sotto rubriche, che nel tempo andranno ad arricchire la nostra offerta di news, saggi e scritti vari sullo spettacolo.
Il Cinema non poteva certo mancare. Il Cinema con il Teatro.
Il Cinema dal Teatro. Ma anche il Teatro dal Cinema.
Così come la letteratura, (più spesso), è riversata in quella che ingiustamente da sempre viene definita “riduzione” cinematografica (di gran lunga preferisco la parola “trasposizione”, perché fra grandi forme d’arte nulla si riduce ma molto si potenzia semmai!), anche il cinema viene trasposto talvolta in letteratura.
E così avviene fra Teatro e Cinema o fra Cinema e Teatro e non solo con le opere ma anche con i loro rispettivi protagonisti. E anche qui non solo attori, ma autori, compositori, scenografi, costumisti.
Pensiamo a grandi nomi come il nostro Zeffirelli o Visconti. Ma anche a Welles, Polansky e chissà quanti altri andremo forse nel tempo a raccontare.
Quante differenze fra queste due arti che pur si toccano e si cercano da sempre.
La fruizione delle due, così diversa, così immediata, appoggiata sul tempo stesso della nostra realtà per il Teatro e così imbrogliona talvolta, dilatata, falsata, velocizzata, rallentata nel tempo, (come certe giornate degli uomini però che non passano mai), nel Cinema. Così “live” a teatro questa fruizione e così irripetibile. E così stoppabile nel cinema, riconsultabile, rivisitabile.
E poi la recitazione che non permette errori nel Teatro, contrapposta a ciak all’infinito fino al raggiungimento della perfezione nel cinema. Poi rimontata, talvolta violata, stuprata, rimescolata da un montatore, eppure portata verso sponde sconosciute dagli stessi attori all’origine.
Intendiamoci bene, non sarà mai nostra intenzione dire “meglio” – “peggio”. Parliamo di arti con caratteristiche diverse e modus operandi diversissimi.
Così come può essere diversissimo il pubblico. Oppure no (in questo caso). Ci dividiamo fra grandi amanti del solo teatro, del solo cinema, di entrambi e in modo viscerale per entrambi. Ma per l’opera e per gli operanti, anche il pubblico quanto e come può influire. Esso stesso attore nel teatro, dove l’atmosfera non solo sul palco, ma anche oltre la quarta parere è creata: con i sospiri, gli sguardi, i sussurri, gli applausi, le urla, le critiche e talvolta i fiori e forse un tempo.. i pomodori!
Così assente nella sala del cinema, almeno certo per gli attori e i registi, che del pubblico nulla percepiscono e nulla sanno fino ai risultati del botteghino o alle recensioni buone o tremende degli “esperti”.
Ultima ma non ultima, la distribuzione. Così vincolata a centinaia, migliaia di repliche (nei casi, pochissimi, davvero fortunati) nel teatro. Così mastodontica, globale, digitale nel cinema.
Le abbiamo dette tutte? Si, forse. Fruizione, recitazione, pubblico, distribuzione. Regole diverse, mondi diversi ma affini. Ma che importa infondo. Vogliamo essere scontati con gli aggettivi? Si. Mondi belli. Bellissimi entrambi.
E per questa bellezza che è il fine ultimo di ogni arte in ogni forma, cercheremo di raccontarvi le storie del Teatro, le storie del Cinema e le storie di tutti i protagonisti che per queste arti si spendono.
Con un occhio particolarmente attento per coloro che nella loro carriera si sono spesi e si spendono ancora… per entrambe.
Si apre il sipario in teatro. Si spengono le luci nel cinema. A presto.
Stefano Chianucci